’Ndrangheta, tanti gli assegni in bianco La procura lavora sull’ipotesi di usura
L’indagine. Oggi iniziano gli interrogatori di garanzia. Si parte con Angelo Zito, residente a Laives. Gli inquirenti seguono la pista del denaro E intanto a Don Bosco i residenti plaudono al lavoro delle forze dell’ordine teso ad estirpare la malavita organizzata: qui tanta gente per bene
Bolzano. Dopo la droga e le armi l’indagine “Freeland”, con la diramazione della ’ndrangheta a Bolzano e gli arresti dell’altro ieri, punta sui soldi. Per capire, ricostruire la parte finanziare della “locale” di ’Ndrangheta. Seguire l’odore, le tracce del denaro è la “fase 2” dell’inchiesta. Con anche elementi nuovi, trovati nel corso delle perquisizioni effettuate nella notte fra lunedì e martedì. A dare una direzione ai nuovi accertamenti, in particolare, sarebbero gli assegni e le cambiali in bianco che sarebbero state trovate e sequestrate a Mario Sergi, il sessantenne che dalla procura di Trento è considerato il promotore, l’organizzatore della “locale”. Assegni in bianco che fanno ipotizzare l’usura. Certezze non ce ne sono al momento, ma ci sarebbero tracce da analizzare, da verificare. Come saranno verificati dei prestiti che sarebbero stati fatti da Sergi. Anche per cifre non proprio irrisorie. Gli investigatori si occuperanno anche delle società degli arrestati per capire se fossero imprese economiche reali o delle facciate legali. Oggi, intanto, Angelo Zito, 61 anni, residente a Laives e domiciliato a Pergine Valsugana, sarà ascoltato dai magistrati nel carcere di Tolmezzo per l’interrogatorio di garanzia.
Gli arrestati che operavano stabilmente in Alto Adige sono undici. Si tratta di Mario Sergi, 60 anni di Bolzano; Angelo Perri , 65 anni di Bolzano; Rosario Giocondo, 29 anni di Locri, di fatto domiciliato a Bolzano; Francesco Perri, 62 anni di Bolzano; Michele Sergi, 65 anni di Bolzano; Angelo Zito, 62 anni, residente a Laives; Giuliano Callipari, 51 domiciliato a Laives; Marco Dall’Ara, 45 anni di Laives; Domenico Bonadio, 52 anni di Laives; Daniel Crupi e Luca Guerra, entrambi di 32 anni ed entrambi domiciliati a Bolzano.
E intanto nel quartiere Don Bosco la gente cammina veloce sul marciapiede e qualcuno lancia un’occhiata veloce ai sigilli sulla porta del bar Coffee Break, in via Resia. Il locale è stato posto sequestro martedì mattina, prima dell’alba, dal personale della Squadra mobile di Trento, nell’ambito dell’indagine condotta dalla Direzione distrettuale antimafia che ha portato allo smantellamento di una cellula della ’Ndrangheta a Bolzano e all’arresto di 20 persone, undici nel capoluogo altoatesino. «Erano circa le 5.30 di martedì – racconta un anziano residente – e qui, davanti al bar, c’erano macchine con i lampeggianti e tanti agenti. Mi sono chiesto cosa fosse successo e, non lo nascondo, mi sono anche spaventato. Durante il giorno, poi, ho saputo che si trattava di un’operazione contro la ’Ndrangheta. Cosa ne penso? Inquieta pensare che i tentacoli della criminalità organizzata siano arrivati fino a qui, ma fa piacere vedere che le forze dell’ordine e la magistratura siano vigili e infliggano colpi durissimi a questi delinquenti. La speranza è che, se riconosciute colpevoli, queste persone vengano condannate e scontino davvero le loro pene». Tra i commercianti della zona, solo qualcuno s’era insospettito per la presenza costante di calabresi al Coffee Break. «Sapevamo che il compagno della titolare (Mario Sergi, ndr) aveva precedenti penali – spiega uno dei negozianti – e, diciamo così, si notava anche che il locale era molto frequentato da corregionali dell’uomo». Frequentazioni che, lo hanno svelato le telecamere e i microfoni posizionati in zona dagli investigatori, non erano affatto ricreative. Le indagini, infatti, hanno consentito di appurare che il locale era diventato una vera e propria base operativa dove i componenti della cellula prendevano decisioni e stabilivano strategie, soprattutto per quel che riguardava il traffico e lo spaccio di stupefacenti sulla piazza di Bolzano. Indagini che ora riscuotono il plauso unanime dei residenti e che sono state condotte per oltre due anni con tale professionalità che nessuno, nel pur affollato tratto di via Resia, ha mai notato qualcosa di strano.
Ma come si è arrivata all’operazione di lunedì notte? Lo spunto è stato offerto - siamo nel 2018 - dalle parole di un collaboratore di giustizia. Che ha parlato in maniera dettagliata della “locale” di Bolzano. Ma non è stato l’unico collaboratore a toccare l’argomento. Perché l’arrivo della ’Ndrangheta in regione risale agli anni Novanta, ma non con l’organizzazione che viene contestata ora. «A Trento o meglio in Trentino Alto Adige - così parla un collaboratore di giustizia - eravamo diversi “uomini”, come ho già accennato, ma non c’era un “locale aperto”; non era cioè stata “formata una società”. Questo soprattutto perché non c’erano tanti “uomini” provenienti dallo stesso paese. Infatti la “società” si forma in un “locale” che corrisponde ad un paese». E ancora: «Quando mi sono stabilito a Trento, già sapevo chi erano gli “uomini” e loro già mi riconoscevano come “uomo”». Quello che invece sarebbe stato fatto ora, è una cosa nuova della ’Ndrangheta con la creazione di un “locale” formato da persone che arrivano da paesi diversi della Calabria e, quindi, con clan diversi di riferimento. Un’evoluzione, insomma, figlia della delocalizzazione.