L'intervista

«Non riesco ancora a rendermi conto che Maria Giuditta non c’è più» 

Tragedia del Renon, parla il marito Sergio Baldessari. «Dopo l’incidente mi ha chiamato Giovanna dicendomi che era morta accanto a lei. In pochi istanti la nostra vita è stata sconvolta»


Paolo Campostrini


BOLZANO. «Cosa ancora mi sorprende ogni mattina? Alzarmi, girare per casa, avvertire la presenza di Cleo, il nostro cane, aprire gli armadi, entrare in bagno, prendere le chiavi e non vederla. Non vederla, ecco, questo mi stupisce ancora..».

È passato un mese ma non per lui. «Siamo stati sposati per 41 anni io e Maria Giuditta. Quel giorno ho pensato: va al Renon e poi torna. La nostra vita è stato un continuo arrivederci a sera». Sergio Baldessari ha gli occhi ancora lontani.

Quando gli si chiede di quella mattina, iniziano a muoversi come se fossero alla ricerca di un appiglio, di una ragione ancora nascosta: «Mi ha chiamato Giovanna, non capivo... Guarda io non so come sto, so che Maria Giuditta è morta».

Poi il cellulare che non rimaneva più fermo in mano, le dita sempre sugli stessi tasti a riprovare lo stesso numero, la corsa in ospedale, il riconoscimento.

Il 28 maggio sulla strada che da Bolzano porta all’altopiano morirono due donne, Maria Giuditta Pasinetti e Oksana Prjriz, amica e collaboratrice. Giovanna Pasinetti resta invece gravemente ferita. Dirà poi che, all'improvviso, il suo fuoristrada aveva smesso di rispondere ai comandi. Se ne andava da solo, accelerando sempre più, fino a salire sul guard rail, scavalcarlo e precipitare in un burrone.

Ora c’è un’inchiesta.

«Si vedrà» dice sospirando Sergio Baldessari.

Ha appena chiamato la cognata Giovanna. Si sentono spesso durante la giornata. Il dramma che li ha colpiti è passato sulla città come un soffio di vento freddo.

Poche volte, negli ultimi tempi, si era avvertita questa emozione diffusa, non legata solo alle amicizie e alle frequentazioni specifiche delle vittime.

I loro negozi erano quelli “delle Pasinetti”. Prima Garuda, per decenni, poi Arianne, non erano conosciuti soltanto per gli abiti, sempre bellissimi, ma per loro.

Le sorelle. Passo sicuro, mai un capello fuori posto, arrivo la mattina, ritorno la sera. L’emozione di molti, anche di chi non le conosceva, forse stava proprio in questo: come se d’improvviso mancasse qualcosa di famigliare, sparisse un panorama consueto, una presenza che andava al di là delle persone in se ma che costituiva una sorta di garanzia di continuità. Del tipo: loro ci sono sempre, anche oggi, come le abbiamo viste tutti per anni e anni, cosa volete che accada? Ora Sergio Baldessari, il marito di Maria Giuditta, vuole dire qualcosa, dopo tutti questi giorni.

E che cosa?

Per cominciare voglio fare un ringraziamento. Anzi un ringraziamento mio e di Giovanna.

Prego.

Diciamo grazie ai vigili del fuoco volontari di Renon, al soccorso alpino, ai carabinieri. E poi al reparto di rianimazione dell'ospedale.

Le sono stati vicini?

Di più. Mi hanno fatto scoprire di vivere in un posto meraviglioso. Dove ci sono persone preparate, professionali, capaci di fare in silenzio il proprio lavoro e di farlo molto bene. In quei momenti, in quei giorni, mi sono sentito aiutato sul serio. Anche Giovanna, che ne aveva più bisogno di me.

Giovanna e Maria Giuditta, sempre insieme, no?

Pensi, le chiamavano le siamesi.

Era un po’ geloso?

Ma quando mai. Erano così legate. Vita e lavoro.

I bolzanini le conoscevano anche se non le conoscevano.

È vero. Sarà perché tutti i santi giorni facevano lo stesso percorso. Fuori da casa, su per le passeggiate del Talvera, giro a destra verso il Museion, via Leonardo da Vinci, il negozio. Più di quarant'anni, quasi cinquanta, tutti i giorni. Sempre in due.

E lei?

Più o meno. Ho l’ufficio a due passi. Ma non sono così regolare nei percorsi.

Cosa succede ora al negozio?

Decide Giovanna.

E Giovanna che ha detto?

L'ha detto subito, appena è stata in grado: il negozio va avanti. Io non avevo dubbi.

E perché?

Va avanti per sua sorella, per Maria Giuditta. Lei avrebbe voluto così. Lei avrebbe fatto così.

Che significano i negozi nella loro vita?

La loro vita. Ci hanno messo sempre passione e anima. E lo si farà ancora.

La loro boutique, Arianne, aveva la saracinesca giù, subito dopo l'incidente.

È stata così per un po’. Poi la si è tenuta giù a metà. Ma chi passava di lì, si chinava per chiedere, per sapere. Ora il negozio lavora come prima.

Giusto così?

Giusto. C'è una collaboratrice che ci lavora da trent'anni. Non si può far finire le cose create con tanta fatica. Non è un posto di lavoro, era ed è un luogo anche di relazioni e di amicizie. Oltre che di bellezza.

Lei ha fede?

Sì ma non come una delle mie sorelle. In particolare come una delle due, Marisa.

Come mai?

Ha messo in piedi un centro di assistenza e Medjugorje. Lì c'è chi vede la Madonna. Sono andato a trovarla , Marisa, una volta, una sola. È impressionante. Ma forse troppo per me. Non arrivo a quel punto.

E a quale?

A sopportare tutto questo. E ad andare avanti.













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