Montagna

Perse la moglie e la figlia: ora il marito è tra gli accusati

Iniziato il processo per la tragedia del 3 gennaio 2018 in alta val Venosta. Una slavina travolse e uccise una donna germanica di 45 anni e la figlioletta undicenne


Mario Bertoldi


BOLZANO. La disperazione per una famiglia distrutta in pochi attimi con la moglie e la figlia travolte da una slavina in una mattinata sbagliata di sci alpinismo nella zona di San Valentino alla Muta in alta val Venosta.

A distanza di quattro anni (i fatti risalgono al 3 gennaio 2018) il padre e marito delle due vittime è ora sotto processo in tribunale a Bolzano per rispondere di concorso in omicidio colposo plurimo e valanga colposa. Complessivamente gli imputati trascinati in giudizio dalla Procura sono cinque. Nella mattina della tragedia persero la vita Petra Theurer, germanica di 45 anni e la figlioletta Mia di appena 11 anni.

La donna venne trovata sopra la ragazzina, con le braccia aperte in un estremo tentativo di protezione. Purtroppo non servì a nulla. La bambina venne recuperata dalle squadre di soccorso ormai priva di vita. La madre, invece, respirava ancora e venne trasportata d’urgenza all’ospedale di Silandro ove però spirò poco dopo.

L’inchiesta (affidata al sostituto procuratore Andrea Sacchetti) appurò che non si trattò di una fatalità. Proprio per questo ora cinque componenti del gruppo di sette persone (del quale facevano parte anche le due vittime) rischiano la condanna.

Anche i primi testimoni sentiti in aula (cioè alcuni soccorritori) hanno confermato che tutti i bollettini metereologici specializzati diffusi dalla Provincia indicavano un notevole rischio di valanghe in quota. Nonostante ciò il gruppo aveva deciso di sciare fuori pista lungo un pendio molto ripido (con pendenze sino a 40 gradi) nonostante fossero facilmente intuibile i rischi del momento. Tra il resto quel giorno il tempo era perturbato con forti nevicate in atto (e nebbia fitta) che avrebbero aumentato ulteriormente il pericolo.

Nel corso dell’inchiesta fu severa (e probabilmente decisiva per arrivare al rinvio a giudizio) la valutazione di Jürg Schweizer professore elvetico (e grande esperto di valanghe che deporrà il 2 novembre prossimo) su quanto avvenuto in quota. Quella di cui facevano parte anche le due vittime sarebbe stata una comitiva «mal organizzata e sostanzialmente incosciente».

In aula è stato confermato davanti al giudice Ivan Perathoner che, nonostante l’elevato pericolo di valanghe, solamente un paio di sci alpinisti del gruppo erano dotati dall’Arva, l’apparecchiatura elettronica che può essere decisiva nella ricerca di persone eventualmente sepolte da metri di neve. La gita in quota era stata orgnizzata da uno sci club di Ludwigsburg, cittadina del Baden-Württemberg.

Il giorno della tragedia fu evidente un’ imprudenza imbarazzante confermata dal consulente della Procura che però non ha saputo indicare con certezza se la slavina si sia staccata autonomamente o sia stata provocata dal passaggio degli stessi scialpinisti.













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