Profughi ucraini, così funziona la “macchina” dell’hub bolzanino
Ogni giorno arrivano 120 profughi, tra loro anche dei minorenni soli. Nel centro davanti alla Fiera tutte le pratiche sanitarie e burocratiche
BOLZANO. All’hub davanti alla Fiera è un viavai di operatori e volontari e di altoatesini di origine ucraina e di profughi della guerra che davanti a un bicchiere di tè caldo si conoscono, si scambiano storie, si ascoltano.
Alcuni sono in coda per cominciare le pratiche dell’accoglienza. Mezz’ora, un’ora, la fila dura poco in confronto al tempo che si dovrebbe passare negli uffici dell’Anagrafe, della questura, dell’Azienda sanitaria e di quello che si dovrebbe trascorrere sui mezzi di trasporto, se non esistesse questo centro allestito a tempo record con il lavoro di Protezione Civile, Croce Rossa e Croce Bianca. E in fila ci si conosce: tra profughi, altoatesini e altoatesini di origine ucraina. Intanto è arrivato il via libera al campo di accoglienza che la protezione civile di Bolzano e Trento allestirà al confine con la Moldavia: lunedì partirà una colonna di 35 persone.
Dormire in bagno.
All’hub un gruppo di donne chiacchiera vicino al gazebo dove si fanno i tamponi. «Excuse me, does anyone speak English?». Una signora fa un cenno. «I speak English, German, and Italian as well». Sono altoatesine di origine ucraina venute qui per aiutare i parenti arrivati dalla guerra. Il rischio di finire nelle mani dei trafficanti di esseri umani. Vie d’uscita dalle città ora aperte, ora sbarrate. Scappare senza niente con sé e pregare di poter tornare, chissà, forse di rivedere la propria casa ancora in piedi.
Kateryna Murachovska abita a Varna e lavora a Vipiteno, ha un marito sudtirolese e due bambini. «Aiuto mia sorella e la sua bambina – dice – a sbrigare le pratiche di registrazione. Siamo venute qua anche ieri, ma non siamo riuscite a fare tutto. Loro sono di Odessa e per una settimana hanno dormito nel bagno del loro appartamento al ventesimo piano di un grattacielo, l’unica stanza della casa senza finestre. I russi di notte bombardano. Poi ho deciso di andarle a prendere, un viaggio di 1.800 chilometri fino alla frontiera moldava. Il marito di mia sorella è rimasto a Odessa ad allestire le linee difensive della città. Non sono in povertà, hanno una casa, un lavoro, amano Odessa con il suo bel teatro dell’Opera e le sue architetture, l’Ucraina con le sue chiese antiche. L’accoglienza dell’Italia e della Polonia ci dà sollievo. Siamo tutti pieni di gratitudine».
Viaggiare soli.
Accanto a lei c’è Viktoria Kozlova, bolzanina originaria di Mykolaïv, città affacciata sul golfo di Dnipro. Bombardata da venerdì, circondata dall’esercito russo, di cinque vie d’uscita se ne può imboccare solo una, se va bene. Ha con sé il nipote undicenne: «È la prima volta che si stacca dai suoi genitori. Mia sorella e il mio nipote più grande, che ha 22 anni, sono militari. E gli uomini non possono lasciare il paese a meno che non siano padri di bambini con disabilità o vedovi con figli».
Questo ragazzino così silenzioso nel cortile della Fiera ha viaggiato da solo con la Croce Rossa. Due giorni di viaggio, poi la prima volta in aereo con la zia Viktoria, dalla polacca Katowice a Orio al Serio. «È stato il suo primo viaggio in aereo. Non si è portato niente, solo un coltellino svizzero che gli aveva regalato il papà, ma l’ha dovuto lasciare ai controlli in aeroporto. Non fa che pensare alla sua famiglia, cerca di chiamare la mamma, il papà e il fratello, e loro si preoccupano per lui: “Hai mangiato?, gli chiedono”. Mia sorella dice che loro di cibo ne hanno. Chissà se è vero, o se tra qualche anno non ci rivelerà che hanno patito la fame». La zia chiederà l’affido al tribunale dei minori. Kateryna Murachovska invece aiuterà la sorella e la nipotina anche a Varna, al distretto sociale cui è stata indirizzata dall’hub.
Le due signore si sono conosciute lunedì al centro di prima accoglienza. Hanno fatto amicizia. «Da Kharkiv a Mariupol è tutto distrutto. Zelenski ha detto che si ricostruirà tutto, ma serviranno tempo e denaro».
L’afflusso di persone.
A mano a manco che la coda scorre, i profughi entrano nel centro di prima accoglienza, ora aperto dalle 9 alle 18. Matteo Vischi, dell’Agenzia provinciale per la Protezione civile, spiega bene come questo hub sta lavorando a una settimana dall’apertura. E dà una misura dell’impegno di Protezione civile, questura, Volontarius, Croce Rossa e Croce Bianca: «I primi giorni gli arrivi erano contenuti. Da lunedì invece i flussi sono importanti, arriviamo a registrare 120 persone al giorno. Con questa configurazione, l’hub può gestire fino a 150 arrivi giornalieri; altrimenti entrerà in gioco uno schema diverso, già pianificato. Finora ne saranno passate di qui 400. L’affluenza è segno che la scelta di allestire questa struttura è stata quella giusta, perché altrimenti queste persone scappate dalla guerra si sarebbero perse tra i vari servizi sparsi sul territorio. Si sarebbero dovute mettere in coda ora in questura, ora all’Anagrafe. Qui possono fare il tampone, registrare la loro presenza sul suolo italiano, ricevere informazioni sui servizi del territorio, i più vicini rispetto alla località dove alloggeranno. Per chi non ha parenti o amici a ospitarlo, Volontarius valuta le diverse soluzioni, definitive o temporanee».
I vantaggi dell’hub.
Chi ha difficoltà con l’alfabeto latino può ricevere aiuto nella compilazione dei moduli che poi gli serviranno per accedere ai vari servizi, anche grazie a personale che parla l’ucraino e il russo. La Croce Bianca aiuta nella logistica e nell’area ristoro, la Croce Rossa fa servizio di accettazione e di tamponi.Le persone positive al Covid non entrano nella struttura: vengono isolate e mandate a Colle Isarco o a casa di chi le sta ospitando, se c’è la possibilità di trascorrervi la quarantena. Non è possibile avere una statistica delle persone vaccinate, ma Vischi fa sapere di persone – tanti sono lavoratori stagionali – con vaccinazioni riconosciute dall’Ema (Sputnik non lo è). «Se necessario vengono indirizzate ai centri vaccinali».