Quelli del Dlf di via Crispi le bocce, le gite, lo sport Il cuore dei ferrovieri 

Il Dopolavoro storico. Serata gremita per l’Amarcord al Centro Trevi, ha ancora 1,200 soci



Bolzano. A Gino piacevano le bocce. E stare lì minuti a discutere di un centimetro in più o in meno. Era diversa Bolzano allora? «Un po’, ma lì, intorno alla stazione non poi tanto...». Allora erano gli anni Quaranta. E lui ci era arrivato nel ’36. «Ma la cosa che mi fa stare bene oggi è che ci sono ancora le bocce e pure qualche amico di allora». Questo piccolo miracolo italiano si chiama Dopolavoro ferroviario. Annidato vicino ai binari, in via Crispi, ha ottant’anni di vita.

E raccoglie impavido interminabili partite a bocce e ancor più accaniti tavoli delle carte. Lì in mezzo entra ancora (quasi) tutti i giorni Gino Perini che invece di anni ne ha 99 ed è il decano del “gruppo bocciofilo”. Poi c’è Antonio Brigo, 96 anni, fondatore del gruppo trekking; più o meno la stessa età ha Carlo Cocco che è stato macchinista.

Bruno Zito, classe ’22 ricorda invece la prima gita organizzata dal dopolavoro, subito dopo la guerra. E mostra la foto di gruppo, tutti felici e sorridenti, a Salisburgo. Oggi il Dlf è tutto nuovo, vetri e luce. Ma a socchiudere gli occhi c’è ancora chi sente il profumo delle colonie marine, tutti stretti sui treni che andavano verso l’Adriatico, donne e bambini, figli e nipoti. Oppure l’emozione dei regali della Befana del ferroviere, pacchi che si aprivano e papà commossi.

Ancora oggi 1.200 soci

E oggi? «Abbiamo 1200 soci» snocciola i numeri Milena Parisi, dirigente in stazione, la presidente. Non tutti ferrovieri. Ma tutti con lo stesso spirito. «Facciamo tanto - dice - dai corsi alle gite, dai tornei di bocce a quelli di carte ma anche ballo, tanto sport, montagna, tennis. E abbiamo anche una squadra di calcetto e una giovanile di volley...». Altri tempi. Ma si resiste. Perché resistere serve in anni di grande crisi diffusa dell’associazionismo classico, preso in mezzo da internet e da innumerevoli proposte e programmi, soprattutto pubblici, che occupano sere e sere. E poi i social.

L’alternativa ai social

«Ecco - aggiunge Milena Parisi - il nostro dopolavoro è la risposta autenticamente sociale a questo rinchiudersi in casa e parlarsi solo virtualmente, attraverso uno schermo illuminato». Per capire che il Dlf è vivo è vegeto bastava passare dal Trevi, l’altra sera. In centinaia, vecchi e giovani, a nel entrare per la serata organizzata dall’Upad e dalla ripartizione cultura che aveva, come centro, due film. Uno nuovo, che fa parte del tour che Peter Paul Kainrath sta facendo tra le associazioni e che è partito proprio dal dopolavoro ferroviario: non a caso il suo Transart viene ospitato tutti gli anni nel magnifico deposito ferroviario ai Piani. E un vecchio ma straordinario filmato girato negli anni Sessanta da Giorgio Magi, anch’egli ferroviere. Un bianco e nero alla Risi girato sulle traversine e sui convogli della linea del Brennero tra orgoglio operaio e fatiche quotidiane. Perché i ferrovieri sono sempre stati l’avanguardia, l’élite del Quarto Stato (e infatti un simil Pellizza da Volpedo campeggia ancora nel dopolavoro) e i loro stessi luoghi di aggregazione sono ancor oggi il simbolo di una certa Bolzano, di una città diventata anche italiana e che provava a cucire un tessuto di relazioni umane e sociali che ancor oggi è la base connettiva di una comunità in cammino. «Tanto mondo italiano qui è nato allora con i ferrovieri» ha ricordato Beppe Mora dell’Upad, l’università popolare da sempre impegnata nel raccontare anche storie minime. È così. E ad ascoltare le testimonianze di Piergiorgio Marchiori, classe ’37 o di Antonio Brigo, arrivato a Bolzano negli anni Quaranta si comprende ancora il senso di una presenza. Che sta alla radice della città, così come è oggi. P.CA.

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