«SanPa? Era un’opzione Da Muccioli ho mandato una trentina di pazienti»
L’ex primario del Sert. «Una bolzanina la prima tossicodipendente accolta a San Patrignano»
Bolzano. “SanPa” è tornato. E con la docu-serie su Netflix (SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano), anche le braccia tese intorno a Vincenzo Muccioli, la fedeltà degli adepti, le accuse degli avversari, la rinnovata adesione dei reduci ma pure le costrizioni e le catene.
Così, tuttavia, pur tra le “molte ombre” dei contrari e le “troppo poche luci” denunciate dai muccioliani della prima ora, hanno ripreso corpo con “SanPa” riflessioni mai concluse intorno alle due strategie per combattere le dipendenze.
Semplificando: l’approccio globale di San Patrignano, con quell’affidarsi anima e corpo alle regole e alla disciplina in cambio della promessa di un reinserimento sociale di “qualità” o invece quello clinico e farmacologico offerto dal metadone.
«Oggi - dice Elio Dellantonio - quell'esperienza e la nostra, intendo quella dei Sert, possono trovare un punto di equilibrio. Perché l'una, in alcuni casi, non esclude l'altra». Dellantonio del Sert bolzanino è stato primario. Di più: anima e corpo. Quei “servizi per le tossicodipendenze” con lui hanno fatto miracoli. Sia (a proposito di pandemie) nella lotta all'Hiv, il Covid di allora: «Siamo passati qui da noi da 30 sieropositivi l’anno a poco più di uno tra gli anni ’95 e il duemila». Sia nella riduzione nel numero delle vittime per overdose e tossicodipendenza.
Tanto che proprio Dellantonio oggi rivela di aver lui stesso inviato a San Patrignano alcune delle persone in cura al nostro Sert.
È una notizia, dottore...
Questo non lo so. So che molti miei pazienti ho deciso allora di inviarli da Vincenzo Muccioli. La questione non è scegliere a caso le terapie ma decidere in base alla personalità, ai percorsi e alle esigenze. In quelle situazioni particolari, Muccioli poteva essere una risposta.
Molti, quanti?
Almeno trenta. Ma le voglio dare un'altra notizia: è nostra la loro paziente zero.
Cosa intende?
Che la prima accolta a San Patrignano è stata una bolzanina.
Cosa resta di quel San Patrignano?
Molto. Ma anche lì vi è stata una evoluzione. Rimane la scelta di chi vi si affida: è come entrare in un monastero. Una organizzazione collettivista, l’affidarsi totalmente al metodo e alle regole, ma anche la sicurezza improvvisa e per alcuni inebriante di quando ci si lascia andare, sicuri in cuor proprio di poter trovare alla fine un reinserimento anche lavorativo. Insomma, occorre starci anni. Bisogna darsi tempo. È un percorso totalizzante e molto, molto, complesso sotto molteplici punti di vista.
E cosa resta dell’altro percorso, quello dei Sert, della “riduzione del danno”?
Il metadone. Sappiamo con certezza che con quel farmaco la tossicodipendenza viene curata. Permette il controllo, la possibile rinascita. Certo, dopo si apre il problema della ricostruzione.
Che a San Patrignano è , diciamo, intrinseco al metodo di Vincenzo Muccioli. E invece qui?
Serve una reale presa in carico da parte dei servizi di salute mentale da un lato, ma anche di quelli sociali dall’altro. Il progetto riabilitativo è centrale. Stante che la prima fase avviene sul piano farmacologico, la seconda è tutta dentro un approccio composito: psicologico, terapeutico, soprattutto sociale. Il vero recupero, che è il reinserimento, non riguarda più la gestione sanitaria.
Ci sono dei problemi ora?
Immagino molti
Del tipo?
C'è stato un oggettivo svuotamento degli interventi di tipo sociali. Meno fondi, grande impegno delle persone ma strumenti in decrescita. Con un vantaggio, anche in questi tempi di pandemia.
Intende il Covid?
Certo. Molti pazienti vivono meglio questo periodo difficile. Ma la ragione è semplice, nella sua crudezza: il lockdown ha reso difficile l'approvvigionamento della droga. Gli orari, le chiusure, il coprifuoco...
Cosa serve ancora?
Il farmaco lo abbiamo ma il resto, cioè tutte le strutture di recupero psicologico e di supporto per il reinserimento lavorativo vanno assolutamente rafforzate. Dico una cosa: il reinserimento lavorativo è molto più importante dell’astinenza per la persona in cura.
San Patrignano è ancora al centro di polemiche. Le condivide?
Ho una visione diversa ma non contrapposta. Non mi sono mai scagliato contro Muccioli. Ma ho mostrato e mantengo le perplessità sul fatto che a San Patrignano si sia sempre criminalizzato il metadone. E poi non sono d’accordo con chi sostiene che la loro sia l'unica risposta.
Non lo è?
Lo resta per molti. Per alcuni. Ma, nel complesso, non più del 3-4% dei soggetti schiavi della tossicodipendenza. L’approccio deve essere flessibile, composito. Anche a Bolzano, al Sert, molto è cambiato nel rapporto coi pazienti negli anni Settanta e invece in quelli dagli Ottanta in su. Nel primo caso si trattava di persone anche colte, provenienti da mondi alternativi, di contestazione politica e sociale. Dopo, invece, c'è stata molta marginalità. Con queste mutazioni anche l’approccio delle cure ha avuto la necessità di articolarsi, di rendersi meno rigido in particolare nella fase di recupero.
Perché San Patrignano ha ancora successo, mantiene la fedeltà e la condivisione di chi ci è passato?
Il suo è sempre stato un approccio risolutivo. Netto. Non credo alla preponderanza, anche statistica, dei metodi coercitivi. O violenti. La loro era ed è una presa in carico totalizzante, chi ci va si senta parte di una comunità solidale, di una setta. Quasi una chiesa. Che non ti lascerà solo anche dopo le prime cure di contrasto. Muccioli accoglieva persone allo sbando e dava loro la possibilità di pensare al futuro. Non dimentichiamo che a San Patrignano di impara un lavoro, si studia, chi vuole va all'università, si aprono prospettive di carriera. Non era solo una struttura riabilitativa. Ma, ripeto, questa prospettiva di vita ha bisogno di soggetti in parte funzionali al progetto.
In conclusione, dottor Dellantonio, San Patrignano non è il male, ma neppure il bene assoluto. È una opzione...
È una delle possibili risposte. Difficilmente estensibile oltre i suoi confini. In ultima analisi: non è per tutti.
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