Il lockdown

Sci, cresce l’incertezza: a rischio i posti di lavoro

Aumenta la preoccupazione tra gli operatori turistici in vista dell’apertura della stagione. Christoph Vinatzer: «La rabbia di Selva: per noi un danno enorme»



BOLZANO. C’è chi disdice; chi telefona per chiedere informazioni e poi magari sceglie un’altra meta per le prossime vacanze; chi invece decide di venire comunque in Alto Adige a sciare.

Queste le prime reazioni preoccupate di turisti italiani e stranieri dopo che in numerosi Comuni “rossi” dell’Alto Adige, è scattato il lockdown che durerà fino al 7 dicembre. Tre di questi - Ortisei, Santa Cristina e Castelrotto - sono mete tradizionali degli appassionati dello sci.

La decisione della giunta provinciale era inevitabile davanti al basso tasso di vaccinati e all’alta percentuale di nuovi contagiati. Due settimane di restrizioni - coprifuoco alle 20, locali chiusi alle 18, stop agli eventi - dovrebbero servire a frenare la corsa del virus e a convincere chi ancora non l’ha fatto, a vaccinarsi, per non ammalarsi e non contagiare gli altri.

Ma anche per salvare la stagione turistica invernale che - per quanto riguarda il Dolomiti Superski - inizia sabato: aprono le piste (non tutte ovviamente) a Plan de Corones e nel comprensorio Tre Cime; dal 4 dicembre le altre.

A preoccupare ora è l’incertezza favorita dall’irresponsabilità di chi non si vaccina, mettendo a repentaglio la propria vita e quella degli altri. A rischio ci sono anche migliaia di posti di lavoro legati all’industria dello sci.

Il presidente dell’associazione esercenti funiviari dell’Alto Adige, Helmut Sartori mette in guardia: «Il successo della stagione e quindi i numerosi posti di lavoro – circa 2.200 coloro che lavorano sugli impianti di sci – dipende da ciascuno di noi. In Alto Adige ci sono 360 impianti di risalita che generano complessivamente circa 360 milioni di fatturato (2019). Il 90% dei ricavi viene realizzato in inverno; di cui il 25-30% solo nel periodo natalizio. Le nostre imprese investono mediamente 120-180 milioni l’anno e sono quindi clienti importanti per molte imprese locali. Come datori di lavoro, è nostro dovere verificare il rispetto delle norme da parte dei dipendenti e degli ospiti. Per superare al meglio l’inverno, dobbiamo vaccinarci».

«La giunta provinciale - critica Christoph Vinatzer, presidente dell’Associazione turistica Selva Val Gardena- poteva aspettare l’arrivo del decreto del presidente Draghi, prima di proclamare il lockdown in 20 comuni. Le limitazioni riguardano Ortisei e Santa Cristina, non Selva, ma la gente fa di tutte le erbe un fascio.L’intera Val Gardena sta subendo un danno d’immagine pesante. Detto questo, servono più controlli e una campagna più efficace per spiegare a chi ancora non l’ha fatto, che deve vaccinarsi. Non ci sono alternative; ai no-vax farei fare un giro in ospedale per vedere come si sta quando ci si ammala di Covid. Di buono c’è che, nell’ultimo fine settimana, a Selva si sono vaccinati in 450; 130 erano prime dosi. Invito gli albergatori che non si vaccinano, a tenere chiuse le strutture, per non danneggiare tutti gli altri».

A preoccupare Ezio Prinoth, presidente di Val Gardena Dolomites, più ancora che le disdette è la tensione sociale provocata dalla pandemia: «La nostra forza, pur nella diversità di idee, è sempre stata l’unione. Adesso la popolazione è divisa tra vaccinati e no-vax: tra i due gruppi si è creata una spaccatura profonda. Stiamo facendo una brutta figura, Selva ci sta dando una lezione di ciò che si deve fare: vaccinarsi. Chi ancora non l’ha fatto, deve farlo subito. In ballo ci sono migliaia di posti di lavoro; primi tra tutti quelli dei collaboratori dei nostri alberghi». Un appello alla vaccinazione arriva anche da Andy Varallo, presidente del Dolomiti Superski. A.M.













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