Sgarbi: «Affascinato dagli affreschi del grande Henrici» 

Il critico visita in piena notte lo storico edificio del Centro «Volevo vederli da sempre, li ho studiati sui libri di Rasmo»



BOLZANO. Quando gli hanno acceso le luci è rimasto per qualche minuto senza parole. Difficile di solito rimanerci, per Vittorio Sgarbi. Ma è accaduto. Sarà stata mezzanotte passata e quello che l'ha, anche se per poco, ammutolito sono stati gli affreschi di Karl Henrici. Luogo:l'ultimo piano di Palazzo Menz, in via della Mostra. Giorno: la sera della sua recita al teatro comunale, lui , solo sul palco con Michelangelo. Ha girato l'Italia e il mondo in lungo e in largo, Sgarbi, scoprendo e riscoprendo pittori dimenticati, luoghi d'arte sconosciuti ai più e bellezze nascoste. Quindi, di solito è difficile sorprenderlo. «Invece questi affreschi non li avevo mai visti» dice, una volta finito di ammirarli. Un caso quasi unico. Favorito da un invito della fondazione Rotschild e dell'associazione artistica «Insieme -Zusammen» di Degasperi e Albarello, freschi organizzatori dell'ultima mostra alla Galleria Civica di piazza Domenicani.. «Eppure io Carlo ( dice così, Sgarbi...) lo conoscevo. Anzi, riconoscere il suo tratto. E la sua pittura, qui a Bolzano, mi ha fatto tornare alla mente i miei studi di gioventù». L'aveva studiato? «E certo. Ricordo di averlo fatto fatto sui libri di Rasmo...». Nicolò Rasmo, scomparso nel 1986 è stato il nostro più illustre storico dell'arte, autore di ricerche e manuali sulle vicende artistiche regionali. Ebbene, è finito anche tra i libri della prima formazione “sgarbiana” e il suo passaggio su Henrici, non molto noto tra i non addetti anche a Bolzano, è stato decisivo per far dire a Sgarbi, l'altra sera che «Carlo è un grande del Settecento. La sua visione così perfetta di un mondo sognante e leggiadro pone Bolzano al centro dei grandi circuiti artistici dell'epoca. Peccato - ha aggiunto - che non se parli di più di questa stanza affrescata...». La quale, in realtà, è considerata la «Sistina» del rococò bolzanino. Karl Henrici, nato in Slesia nel 1737 e morto proprio a Bolzano, dove operò a lungo, nel 1823, dipinse quel trionfo di dame e cavalieri, di amorini e paggi, invitato dai proprietari del palazzo, che anticamente si chiamava Rafeinstein, allora ricchi mercanti e maggiorenti della città. Nel pensare la sua opera, molto laica a differenza di quelle più richieste allora, tutte di ispirazione religiosa (due anche in Curia vicino al duomo), Henrici si ispirò alla sua lunga formazione veneziana e veneta, a contatto coi grandi Longhi e Piazzetta e poi con le botteghe veronesi. Le pareti, tra il grande «Ballo in maschera» su un lato e il «Trionfo dell'amore» sull'altro, riflettono stili e atmosfere tipiche del '700 veneziano nel pieno del suo fulgore poco prima della decadenza ottocentesca. Sgarbi ha anche girato un piccolo video mentre guarda e racconta l'opera. «Sono qui, da Bolzano, a mostrarvi queste meraviglie...». Insomma, una scoperta per il grande critico. Per un dipinto finora tenuto un poco in disparte visto che, fino a pochi anni fa, lì , in quel palazzo, operava una banca mentre ora, è in attesa di una nuova destinazione. Probabilmente cultural-commerciale aperta al pubblico. (p.ca.)















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