Sos abusi sessuali: «Scuola e sport, serve fare di più»
L’esperta Veronika Oberbichler: «Il male è non spezzare quel silenzio, è uno stereotipo dire che gli episodi riguardino solo il mondo della chiesa»
BOLZANO. «Un abuso? Lascia le sue tracce per tutta la vita».
È come un pensiero in profondità, che se ne sta rintanato per la paura che faccia male.
«E invece il male è lasciarlo lì, non spezzare i silenzi», dice Veronika Oberbichler, psicoterapeuta.
Gli abusi, sui piccoli, sui bambini, sui ragazzi navigano dentro il nostro mondo come degli iceberg, sfiorano la superficie poche volte e quelle volte danno scandalo ma il più si muove sotto, invisibile, come un macigno. La ragione? «È più semplice girare lo sguardo. E chi è abusato tante volte non comprende di esserlo o di esserlo stato. E se lo capisce, si ritiene responsabile, immagina di averlo indotto, provocato. E allora tace».
E lo fa soprattutto con se stesso, spiega Veronika Oberbichler che ha presentato, insieme a 25 associazioni tra cui CoopBund, una petizione perché si possa «Rompere il silenzio», come si legge nel titolo del suo libro sulla questione.
Con la sua «Rete-Netzwerk», che lotta da anni per favorire un sempre miglior rapporto tra uomini e natura, per lavorare sul rispetto in tutti i campi, ha presentato una petizione perché di abusi si interessi concretamente anche la politica, attraverso le sue istituzioni.
Una richiesta? Istituire un difensore civico anche per i minori, alla stregua di quanto accade nel mondo degli adulti. E poi migliorare le terapie, informare le scuole, supportare giuridicamente gli abusati e le famiglie. Già era stata elaborata una mozione al riguardo ma, nonostante la creazione di una commissione, poco si è mosso.
Dunque?
Occorre una forte accelerata.
È scesa in campo anche la Diocesi. Il vescovo è intenzionato a fare chiarezza sul passato delle istituzioni ecclesiastiche. È stato un atto coraggioso?
Molto. E sono emersi casi e testimonianze mai affiorate. Ma serve subito sgombrare il campo da un equivoco.
E quale?
Che gli abusi riguardino principalmente le strutture giovanili della chiesa. Non è vero. Tra i laici gli abusi sono molti, ma le denunce e le testimonianze purtroppo ancora poche.
In quali ambiti?
In tutte quelli dove gli adulti vengono in contatto con i minori. Ci sono casi nella scuola, nel mondo delle associazioni, in particolare in quelle sportive, tra allenatori e assistenti. È uno stereotipo che l’abuso sia assimilabile solo al mondo clericale. No, la questione è molto più estesa nella società. È per questo che chiediamo di intervenire con precisi indirizzi normativi, che solo la politica può elaborare.
In quale situazione psicologica nasce l’abuso?
L’abuso sessuale è pienamente assimilabile all’abuso di potere. Dove l’adulto sa di poterlo esercitare, lì si annida l’eventualità che questa leva sfoci nell’abuso. Tutto parte da lì. È la condizione di base.
Ma come si muove chi abusa, non teme di essere smascherato?
La sua strategia è attentamente pianificata. Nulla viene fatto a caso. Si crea prima un’atmosfera di fiducia tra l’educatore, l’assistente o chiunque esso sia, ma sempre dentro una struttura scolastica o sportiva, e il ragazzo o la ragazza. Questo avvicinamento avviene gradualmente, a mano a mano che cresce la fiducia del minore nel suoi confronti. Non è semplice cogliere questa progressione o il momento in cui l’avvicinamento diventa abuso.
Dunque è complicato per un osservatore, per i famigliari ma pure per il minore comprendere che si è dentro questo meccanismo?
Tante volte sì. Per questo occorre lavorare alacremente sull’informazione, sulla necessità di fornire quadri di riferimento anche nelle scuole, tra le classi.
Perché chi è abusato in moltissimi casi tace?
Per una serie di ragioni. Una, è che a volte non ci si accorge, nel concreto, di essere stato oggetto di abuso. Si scambia, ingenuamente, una attenzione, anche insistita, per affetto o complicità. Sono messe in atto da parte di chi abusa, strategie e manovre manipolatorie, anche molto raffinate.
Ma poi, una volta compreso?
Il ragazzo o la ragazza sono preda dei sensi di colpa. Presumono di essere stati parte attiva in questo orrore. Se ne vergognano, si nascondono a loro stessi e soprattutto ai genitori. Immaginano, in sostanza, di aver sbagliato.
Certo, ci vuole coraggio. C’è sempre la paura dello stigma sociale no?
Ce ne vuole. Ma è necessario che tutti comprendano prima i meccanismi, che li riconoscano sul nascere, che denuncino subito. Magari a un professore vicino, al genitore, anche ad un amico. In questo, la scuola è decisiva.
La scelta più semplice forse meno dolorosa sembra così quella del silenzio?
Sembra. In realtà è una scelta che prelude ad un dolore ancora maggiore. Perché l’abuso è un episodio che lavora dentro anno dopo anno, che lascia tracce indelebili. L’unica ricetta per liberarsene è parlare. Rompere, appunto, il silenzio.
Ma la condizione perché questo accada è che non si sia lasciati soli no?
È fondamentale. Scuola, istituzioni, politica tutti si deve lavorare per creare supporti. Ma che intervengano durante, non solo dopo.
Cosa si chiede nella petizione?
Un numero verde bilingue sempre attivo, informazioni utili su un sito della Provincia, accessibilità alle consulenze, finanziamento delle terapie, formazione capillare in materia di violenza sessualizzata e violenza sessuale, supporto legale nei processi, protocolli di educazione sessuale, incentivi alla ricerca nel campo psicologico, fornitura di tutti i dati sugli abusi, formazione mirata anche per adulti, genitori e chi lavora con i minori.
Richieste molto articolate.
Serve un contrasto sistematico e soprattutto multidisciplinare altrimenti non se ne esce. Ma ad una cosa tengo….
Prego.
Promuovere la cultura della memoria. Non dimenticare gli abusi anche lontani nel tempo. Dare soddisfazione alle vittime attraverso il ricordo. Perché si tratta di un dramma transgenerazionale. Che attraversa tutte le generazioni.
Nel senso che gli adulti di oggi sono stati i minori di ieri?
Quello. Nessuno deve sentirsi solo, né anziano né ragazzo.