il caso

Sposa l’assistito ed eredita la casa 

Badante a processo. La donna, originaria dell’Est Europa, è stata assolta con formula piena. Ad accusarla sono stati i parenti del defunto Ritenevano che il loro familiare fosse stato deliberatamente raggirato approfittando di presunti (ma mai provati) problemi psichici


Mario Bertoldi


BOLZANO. È stata accusata di aver raggirato l’uomo che assisteva in qualità di badante al fine di mettere le mani sull’eredità ma è stata assolta con la formula più ampia e cioè “perché il fatto non sussiste”. Ad innescare l’inchiesta penale, poi sfociata in un vero e proprio processo, sono stati alcuni parenti del defunto che però, secondo le testimonianze raccolte, non avrebbero avuto particolare riguardo nei confronti dell’uomo non completamente autosufficiente.

È stato proprio un esposto firmato da alcuni parenti a dare il via agli accertamenti della Procura della Repubblica che ottenne il rinvio a giudizio della badante con l’imputazione di circonvenzione di incapace.

Al centro del caso c’è ovviamente l’eredità che la badante ottenne dopo aver deciso di sposare il suo assistito. Quando l’uomo, che aveva poco meno di 70 anni, passò a miglior vita, la moglie - una donna extracomunitaria di una decina di anni più giovane - ovviamente subentrò nella proprietà dei beni sulla base del testamento che prima del decesso era stato curato in ogni particolare e depositato presso uno studio notarile. La badante diventò così proprietaria di un elegante appartamento ad Appiano dal valore di circa 300 mila euro. Che l’anziano avesse deciso di premiare con il lascito l’amore della sua consorte non avrebbe dovuto provocare alcun sospetto ma furono i parenti dell’assistito, come già accennato, a depositare un esposto penale alla Procura della Repubblica sostenendo che il loro congiunto sarebbe stato raggirato dalla donna (una donna originaria dell’Est Europa ma da tempo domiciliata in Alto Adige) che in primo luogo lo avrebbe indotto ad accettare il matrimonio per poi mettere le mani sull’eredità.

Un’operazione che secondo i famigliari la badante sarebbe riuscita a portare a conclusione approfittando dei problemi di carattere psichico evidenziati negli ultimi tempi dall’anziano assistito 24 ore su 24. Il processo a carico della badante (e moglie) si è però concluso con un’assoluzione piena sia in primo che in secondo grado. Ed ora è probabile che la vicenda, sotto il profilo processuale, possa considerarsi definitivamente conclusa.

La circonvenzione di incapace è infatti un reato che presuppone limitate capacità psichiche della parte lesa che però nel caso in questione non sono assolutamente emerse. Così come il processo non ha assolutamente fatto emergere una reale menomazione del potere di critica.

La condotta oggetto di incriminazione è dunque un’attività d’induzione mediante abuso della condizione di minoranza psichica che però nel caso giunto al vaglio del tribunale di Bolzano non è mai emersa.

Nel corso del processo non è stato nemmeno ritenuto necessario affidare il caso a qualche perito psichiatra dato che il caso è stata considerato, sia in primo che in secondo grado, estremamente chiaro. Ieri davanti alla corte d’appello di Bolzano il procedimento si è concluso con un adeguamento del risarcimento che i denuncianti sono stati condannati a riconoscere a favore della donna che ha avuto ovviamente una serie di spese per affrontare il processo. La badante-moglie ha affrontato il processo affidandosi all’avvocato Flavio Moccia.

 













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