Tanti auguri Andreotti, il tritolo firmato “Andreas Hofer”

La notte di San Silvestro al Palace di Merano esplode un ogivale di ghisa imbottito di tritolo. Nessun ferito. La reazione del ministro: “Solo un botto anticipato di capodanno”


di Paolo Cagnan


MERANO. La terza bomba della nuova ondata di attentati in Alto Adige esplode il 13 giugno 1986 a Gargazzone, contro un grande magazzino di nautica, campeggio e abbigliamento. Si chiama “Tempo libero”, è di proprietà di un italiano ed è chiuso in attesa di riapertura dopo un furioso incendio che lo aveva devastato due anni prima. In verità, molti penseranno al racket delle estorsioni o ad una vendetta personale, più che ad un attentato terroristico. Danni limitati, ma è un altro robusto scossone alla tranquillità delle notti altoatesine. Luglio e agosto trascorrono tranquilli, poi i terroristi spostano il loro raggio d'azione, dal triangolo Lana–Postal-Gargazzone al capoluogo.

Il 5 settembre, tre etti di dinamite svegliano di soprassalto gli abitanti della zona attigua al tribunale di Bolzano: i dinamitardi hanno piazzato un ordigno sotto una Volvo targata Padova, parcheggiata in una stradina a poche decine di metri dal sorvegliatissimo palazzo di giustizia. Probabilmente, un obiettivo di ripiego. Gli attentatori puntavano al tribunale, ma hanno visto gli agenti in servizio di pattugliamento notturno e non se la sono sentita di tornare a casa senza fare il botto. Le fattezze dell'ordigno costituiscono una novità assoluta: si tratta di un ogivale di ghisa costituito da un cilindro metallico collegato ad una miccia a lenta combustione, saldato ai due lati con altrettanti bulloni, e al cui interno è stato pressato l'esplosivo. Sull'ogivale è stata tracciata con la fiamma ossidrica una scritta: “Klotz”, con accanto una croce. E' la prima bomba “dedicata” ad uno dei patrioti degli anni Sessanta.

Una firma chiara, sin troppo chiara per qualcuno: “Ho il sospetto che si tratti di una provocazione dei nazionalisti italiani. Ovviamente non ho le prove, ma è mia convinzione che si tratti di un'azione di disturbo studiata molto bene”, dichiara il leader dello Heimatbund, Hans Stieler. La guerra a distanza fra missini e separatisti si acuisce in vista del 4 novembre, anniversario della vittoria italiana sull'impero austroungarico: in piazza Vittoria il segretario nazionale del Msi Giorgio Almirante lancia pesanti anatemi contro il pacchetto davanti a tremila italiani, mentre lo Heimatbund distribuisce drappi neri in segno di lutto ma si vede negare dalla questura il permesso di deporre davanti al monumento alla Vittoria corone listate a lutto con la scritta “Il Tirolo è in lutto 1918-1986”. Fra i due contendenti si inseriscono con una contromanifestazione le forze di sinistra, all'insegna dello slogan “Bolzano nera non è quella vera”.

Per chiudere degnamente il 1986, i dinamitardi tornano in azione. L'8 dicembre tocca ad un pullman targato Matera, posteggiato nei pressi del monumento all'alpino di Merano, forse il vero obiettivo del raid notturno. Il giorno prima, qualcuno aveva provveduto ad imbrattare con vernice tricolore la lapide dei cinque ex attivisti sudtirolesi del cimitero di San Paolo di Appiano, dove la mattina seguente si sarebbe tenuta la solita commemorazione da parte dello Heimatbund.

Nella notte fra il 30 e il 31 dicembre compare a Merano la seconda bomba con dedica, piazzata sul muro di cinta dell'Hotel Palace, che ospita il ministro Andreotti, in vacanza con la sua famiglia. La sorveglianza dovrebbe essere attenta e costante, eppure i terroristi hanno tutto il tempo di piazzare l'ordigno, accendere la miccia e fuggire indisturbati. Dopo un volo di 70 metri, una grossa scheggia dell'ogivale di ghisa attraversa tutto il cortile interno dell'albergo di lusso, sfonda una finestra e penetra all'interno di una stanza dove dormono due turisti tedeschi.

Questa volta i terroristi hanno davvero rischiato di provocare delle vittime. Sulla bomba compare il nome di Andreas Hofer, accanto ad una croce e una “T”, forse il simbolo di Tirol, l'organizzazione inattiva dal 1982. Tre mesi dopo, l'attentato sarà rivendicato dalla sedicente “Rot - Organizzazione rivoluzionaria Tirolo” . Andreotti se la cava con una battuta: “E' stato solo un botto anticipato di Capodanno”. E aggiunge: “Tutto questo non ci deve far cambiare idea su una politica di convivenza che deve cercare di risolvere i problemi ancora pendenti”

L'attività legale degli irredentisti è intensissima: lo Heimatbund distribuisce a Bolzano manifestini bilingui per convincere anche gli italiani della bontà del progetto di creazione di uno “Stato libero del Sudtirolo” mentre Gerold Meraner, leader del Pdu (il partito dei liberalnazionali di lingua tedesca) si allea con i separatisti sostenendo che “i sudtirolesi, in quanto parte del popolo austriaco, devono poter decidere sul proprio destino” (7). Polizia e carabinieri si concentrano sulla ricerca dell'officina che avrebbe potuto sfornare le bombe di ghisa, ma le indagini saranno fragorosamente interrotte da altre due bombe - le prime del 1987 - nella notte del 23 gennaio. Dopo Andreotti, tocca a due politici locali di spicco: il leader democristiano Remo Ferretti, vicepresidente della giunta provinciale e l'avvocato Andrea Mitolo, da sempre faro del Msi, parte civile in quasi tutti i processi contro i dinamitardi degli anni Sessanta.

Ancora una volta, se non ci scappa il morto è solo un miracolo: rincasando Paolo Mitolo, figlio di Andrea, vede una bomba fumante davanti al cancello d'ingresso dello stabile situato in via Martin Knoller, nel quartiere di Gries. Corre alla più vicina cabina telefonica per chiamare la polizia, e pochi secondi dopo l'ordigno esplode. Una bomba di media potenza, che produce danni limitati. Ancora un ogivale di ghisa, ma questa volta la scritta tracciata è “Kersch”, dedicata cioè a Sepp Kerschbaumer. La seconda bomba scoppia poco lontano, davanti all'ingresso del palazzo di via Guncina dove abita Ferretti. Anche in questo caso danni limitati, ma panico generale. Compare poi il quarto ordigno con dedica: “Höfler”, che sta per Franz Höfler, altro "patriota".

Prima Klotz, poi Kerschbaumer e Höfler: tre dei cinque "martiri" che compaiono sul volantino diffuso dalla Kameradschaft di Kienesberger con lo slogan “Dimenticare mai”. Qualcuno, in effetti, sembra non aver dimenticato. Gli inquirenti sentono il fiato sul collo. Perquisizioni, posti di blocco, intercettazioni telefoniche non danno alcun risultato. Ma il 4 febbraio, la "manna dal cielo" si presenta sotto sembianze umane.

Una manna di nome Frick.

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