Tonnellate di bombe dal cielo su viale Trento e il centro 

I bombardamenti. Dal 2 settembre 1943 al febbraio del 1945 i bombardieri Usa martellarono Bolzano: oltre 250 i morti Le case distrutte furono 325, quelle danneggiate 548. Il ricordo di Romano Santi: «La terra tremava ed era subito l’inferno»


ETTORE FRANGIPANE


bolzano. «Ci eravamo rifugiati nella galleria del Virgolo, lato nord, ma io con altri ero rimasto all’imbocco: avevo sette anni, ero curioso. Poi un improvviso incredibile frastuono, scappai dentro spaventato. Il rumore aumentava, la terra tremava, sentivo gridare, portarono dentro dei feriti: ne ricordo uno con la faccia insanguinata. Fu una cosa terribile, Quanto tutto cessò uscimmo. C’era una gran polvere. Feci per tornare a casa con i miei, in viale Trento, ma la mia casa non c’era più». Romano Santi, musicista della “Haydn” un passato di concertista ad alto livello, quel 2 settembre 1943 se lo ricordava così. Iniziò quel giorno la progressiva, sistematica distruzione del quartiere che si estendeva attorno al ponte ferroviario sull’Isarco, al parco ferroviario, alla stazione, e che cessò solo un anno e mezzo dopo, nel febbraio del 1945. La zona attorno all’odierna piazza Verdi fu arata e spianata dai B17 e B19 americani, le ben note “fortezze volanti”, che raggiungevano Bolzano in formazioni fino a 40 aerei, per distruggere le infrastrutture ferroviarie. Furono sganciate tonnellate di bombe che estesero i loro effetti ben oltre gli obiettivi dei piloti: le case distrutte furono 325, quelle danneggiate 548, il 62% degli edifici subì le conseguenze di 13 bombardamenti (dati del Genio Civile) più nove attacchi del cacciabombardiere solitario “Pippo”. I morti furono oltre 250, senza contare i militari tedeschi. Il maggior numero di vittime si ebbero tra le rovine dell’odierna scuola Goethe, nei trinceroni del parco della stazione, nel rifugio sotterraneo dell’istituto professionale di via San Quirino ove in molti morirono annegati per l’acqua sgorgata dalle tubature dell’acquedotto, danneggiate. La mia famiglia si rifugiò sul Colle, poi a Nova Ponente, da dove vedevo la formazioni volare verso Bolzano, dove mio padre era al lavoro, in prefettura. Solo a sera potevamo apprendere se era ancora vivo. Io collezionavo (!) schegge di bombe e contraerea, o frammenti d’aereo, che trovavo ancora caldi nei prati. In «Gli anni delle bombe» il giornalista Mario Ferrandi scrisse: «Bolzano, almeno nella sua parte centrale, appare una città senza vita, una città di rovine. Poche le case ancora intatte, moltissime quelle gravemente danneggiate, molte quelle distrutte. Una zona intera, quella attorno allo scalo ferroviario, è praticamente livellata: solo ammassi di detriti e muri sbrecciati. I giardini attorno alla stazione sembrano scavati da un enorme aratro». Si scrisse che per rinascere Bolzano avrebbe dovuto attendere cento anni.















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