Un filosofo nell’orrore: la foto nel lager di Lazzerini 

La storia. Intellettuale di spicco e docente per 30 anni al Carducci, non parlava volentieri dell’esperienza vissuta nei campi in Polonia Si riconobbe in una foto scattata di nascosto da un commilitone di Cles che riuscì a nascondere la sua Leica durante l’internamento


Luisa Bertolini


Bolzano. La casa editrice Il Mulino ha ripubblicato il libro di Vittorio Vialli “Ho scelto la prigionia. La resistenza dei soldati italiani nei Lager nazisti 1943-1945”, a cura di Emiliano Macinai e Luana Collacchioni, che raccoglie una parte delle quattrocento fotografie scattate, di nascosto e con mille sotterfugi, nei campi di concentramento della Germania nazista dedicati agli IMI, Italienische Militär- Internierten.

Questa strana dicitura era stata inventata da Hitler per rubricare i soldati e gli ufficiali italiani deportati nei lager dopo l’8 settembre del 1943: traditori, badogliani, meno di prigionieri, meno dunque anche dei prigionieri russi, e non essere prigionieri escludeva gli accordi internazionali sul trattamento dei prigionieri di guerra e, di conseguenza, gli aiuti della Croce Rossa.

Il no alla Repubblica sociale

Unica via d’uscita era l’adesione alla Repubblica sociale di Mussolini, ma dei circa settecentodiecimila uomini deportati nei campi la stragrande maggioranza dei soldati (90% dei soldati semplici e dei sottufficiali) e la maggioranza degli ufficiali (75%) non aderirono. Si trattò quindi di una vera e propria Resistenza passiva che nella storia e nella memoria dell’immediato dopoguerra passò però in secondo piano, rispetto alla Resistenza militare.

Ora disponiamo di una storiografia articolata, costruita sulla base di un’ampia documentazione raccolta dalle associazioni dei reduci e dagli archivi locali, come dimostra anche un altro libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri, “I militari italiani nei lager nazisti. Una resistenza senz’armi (1943-1945)”, uscito quest’anno, anch’esso per Il Mulino.

Un documento straordinario

All’interno della storiografia sugli IMI il libro di Vittorio Vialli mantiene però un significato particolare ed eccezionale, perché rappresenta un documento straordinario in quanto composto di fotografie. Un’ottantina di queste erano state pubblicate per la prima volta su “Oggi” nel 1946 con le didascalie curate da Giovannino Guareschi. Il libro è stato pubblicato per la prima volta nel 1975, edito da Patron a Bologna, ristampato in poche copie nel 1982 dall’Anei, l’associazione degli ex internati e riedito, appunto, quest’anno.

Vittorio Vialli, nativo di Cles, nel 1943 ha 29 anni, è laureato in scienze naturali, ha combattuto in Albania come tenente di fanteria, in seguito, a Istmia, presso il canale di Corinto, e aggregato alla Marina Militare Italiana come responsabile del funzionamento strategico del canale, per le sue competenze in geologia.

Ha con sé una macchina fotografica, una Zeiss super Ikonta, che gli serve per documentare il suo lavoro scientifico. Appena dopo l’8 settembre del 1943 viene catturato dai tedeschi, assieme a decine di migliaia di altri soldati italiani, lasciati senza direttive dalle autorità militari e dal proclama ambiguo di Badoglio, e ingannati dai nazisti che promettono loro di portarli a casa.

All’inizio del viaggio la tradotta è aperta e i soldati credono di essere liberi; i treni passano dalla Bulgaria, arrivano vicino alla Turchia e proseguono senza molti tentativi di fuga; arrivati in Austria, il treno viene chiuso, gli ufficiali disarmati e incomincia la deportazione.

Vialli riesce a portare con sé la macchina fotografica con cui scatta le prime foto a Corinto, ad Atene e nel treno; in seguito la consegnerà, perché troppo ingombrante, a un militare tedesco della Wehrmacht (che gliela riconsegnerà alla fine della guerra).

Userà una piccola Leica che smonterà e rimonterà nascondendola nelle croste di pane, in qualche patata, negli indumenti. I rullini fotografici se li era procurati ad Atene e altri li comprerà nei lager in cambio di una foto ricordo o di qualche sigaretta.

La documentazione riguarda la vita nei campi di Luckenwalde, vicino a Berlino, di Beniaminowo in Polonia, di Sandbostel e di Fallingbostel nel Nord della Germania: Vialli fotografa i suoi compagni, i suoi carcerieri, il fotografo tedesco che scatta a sua volta una foto ai prigionieri, gli appelli al gelo, le conferenze, le messe, le lezioni organizzate dagli ufficiali nelle baracche, le sequenze di un assassinio attuato a sangue freddo da un nazista, la radio clandestina. Convinto che la pubblicazione del libro nel 1975 possa avere un valore rievocativo comune a tutti coloro che hanno sofferto l’esperienza dei campi, scrive nell’Introduzione: «Sono certo che ogni ex internato vi si ritroverà».

La foto di Carlo Lazzerini

Quando nel 2012 abbiamo organizzato al Liceo classico di Bolzano, a due anni dalla morte, un ricordo (una mostra e un convegno) di Carlo Lazzerini che nella nostra scuola aveva insegnato storia e filosofia dal 1958 al 1990, abbiamo scoperto, tra le carte e i quaderni, proprio questo libro, nell’edizione del 1975, e abbiamo saputo dalla figlia Anna che il professore ci teneva molto e che in una foto si era riconosciuto, si era davvero ritrovato.

Anche Carlo Lazzerini era in Grecia l’8 settembre del 1943, a Prevesa, sul Golfo d’Arta, anche lui poi deportato. I nomi dei campi sono certamente Deblin in Polonia, Sandpostel e Fullen, il campo della morte, vicino al confine con l’Olanda; questi nomi sono scritti a matita vicino al titolo delle poesie che Carlo scrisse in un quaderno destinato agli esercizi di grammatica tedesca; altri, Czestochowa in Polonia e Wietzendorf nella Germania del Nord, sono nei ricordi della figlia Anna e dell’amico medico e psichiatra Enzo Conciatore. Con gli altri, con gli amici, con i suoi studenti Lazzerini non parla, affida il suo insegnamento alle parole dei filosofi, Platone, Kant, Hegel, Frege, che insegna e traduce. La vicenda di Lazzerini si incrocia dunque con quella di Vialli; alcuni campi sono gli stessi e anche il ritorno in Italia è comune, passa per l’ospedale della Croce Rossa, allestito nell’albergo Duca d’Aosta a Tirolo presso Merano. La vita successiva è la vita professionale: Vialli nel 1961 diventa professore di geologia e paleontologia a Bologna, mentre il livornese Lazzerini sceglie l’Alto Adige con la moglie Carla Gromellini, e si dedica all’insegnamento liceale.

Deve essere stato molto difficile parlare di questa esperienza sia per Vialli, aiutato dalla figlia Liana nella scelta dolorosa delle foto da pubblicare, sia per Lazzerini che nel 2004 ha lasciato una lunga intervista a Giorgio Delle Donne, depositata presso la Biblioteca provinciale "Claudia Augusta" di Bolzano.

Una sorta di pudore sembra alla base della reticenza degli ex internati: Luana Collacchioni, in una delle postfazioni al volume di Vialli, scrive che non si può comprenderne il perché, che ogni spiegazione sarebbe arbitraria; io credo che in questo caso, alla sofferenza che provoca il rivivere le umiliazioni, si aggiunga la scarsa considerazione che per molto tempo ha colpito la Resistenza passiva, priva di retorica, degli Internati Militari Italiani, gli IMI.

già insegnante al Carducci

direttrice di Fillide

©RIPRODUZIONE RISERVATA.













Altre notizie

L'intervista

Silvio Zanetti: «A 88 anni ho sposato Dolores: mi dà tanta felicità»

Bolzanino, il 16 aprile ha festeggiato il traguardo dei 90 anni. In via Rovigo è un’istituzione, dopo che negli anni Sessanta si è messo in proprio aprendo una cartolibreria: «Ho fatto fortuna fornendo la cancelleria a scuole, ospedali, pubbliche amministrazioni, caserme» (Foto di Rosario Multari)


Antonella Mattioli

Attualità