Una montagna di... bollini I soci fedelissimi del Cai Bolzano
Volti e nomi. La storia della sezione cittadina si intreccia strettamente con quella dei soci che nel corso degli anni hanno promosso e portato avanti l’attività mettendo a disposizione tempo, competenze e tanta passione.«Una vera famiglia che ci ha sempre accompagnato»
Bolzano. La storia centenaria del Cai Bolzano – il prossimo 21 marzo il prestigioso compleanno - è la lunga avventura di una associazione ma anche la somma di tante piccole, preziose storie personali che si sono incrociate in questo secolo di passione comune per la montagna. Donne e uomini che hanno condiviso l’attività della loro associazione ma che in molti casi hanno anche messo a disposizione le loro energie e il loro tempo per far funzionare al meglio la sezione bolzanina del Club Alpino Italiano.
Claudio Menapace
Storie come quella di Claudio Menapace, bolzanino di 86 anni di età e di 70 anni di Cai. Del gruppo storico, lui è l’“artista”: nel corso degli anni, ha abbellito la sede di Piazza delle Erbe con alcuni suoi quadri (paesaggi montani, soprattutto), con i bersagli in legno caratteristici del mondo della caccia sudtirolese, e firmando addirittura le pagine del Calendario 2008 del Cai locale, oltre che il logo della rassegna MontagnaLibri.
Ha partecipato per decenni alla vita sociale e organizzativa della sezione, assumendo fra l’altro la presidenza dell’assemblea che nel 2008 mise a punto il nuovo statuto. Ma l’aspetto più curioso e più umano della storia Cai di Claudio Menapace, che conserva gelosamente la sua tessera originale datata 1951, è legato al fatto che tutta la famiglia – quattro generazioni - è storica socia del Cai: «Mio padre – ci racconta al telefono dalla sua casa di Appiano – era iscritto al Cai dal 1930 ma non ha fatto in tempo a condividere con me questa sua passione perché è morto in guerra quando io avevo sette anni. Le mie due sorelle però ereditarono la passione per la montagna e per lo sci, sicché mia sorella Rina quando aveva 24 anni mi iscrisse alla sezione bolzanina del Cai: avevo 17 anni ed ero in quarta Geometri. Me lo ricordo come fosse oggi, perché uno dei miei ricordi più belli è proprio legato alle sciate che facevo con lei al Piz Seteur e a Plan de Gralba. Si arrivava fino a Selva nel cassone di un camioncino Dodge, reperto bellico americano, e poi su a piedi, e sci in spalla, fino alle piste». Ma in questa storia a un certo punto entra anche la moglie. «Eh sì: l’ho conosciuta proprio durante una gita, sotto le Cime di Lavaredo nel 1964. Io sono originario della Val di Non, dopo il diploma avevo girato mezza Italia per una decina d’anni lavorando nel ramo edilizio, ma negli anni Sessanta ho messo radici qui a Bolzano, avviando la ditta famigliare Edilmec che tuttora si occupa di macchine industriali». Nel Cai lo conoscono anche come pittore. «Pittore amatoriale, però è un hobby importante: uso l’olio, su tela, carta, legno. E mi sono specializzato nei bersagli di legno dei cacciatori, che sono stati in mostra anche a Castel Mareccio. Pensi che uno dedicato a Sant’Uberto nel 2000 fu donato a papa Wojtyla». Una passione per la montagna trasmessa anche ai figli Cesare e Gigi e agli eredi: «Le mie due nipotine Valeria e Irene sono già iscritte al Cai…».
Gentile “Geni” Zadra
Se Menapace compie quest’anno settant’anni di Cai, Gentile “Geni” Zadra lo batte con 74: «Compio 93 anni in febbraio e sono iscritto dal 1948, quando avevo vent’anni e il mio insegnante di geografia dell’ITC mi consigliò di farlo. Del resto avevo frequentato la montagna fin da piccolo, originario com’ero della Val di Non». Il Cai gli ha dato molto, ma ha anche ricevuto. «Ho avuto così tanto da giovane, che quando a 70 anni sono andato in pensione ho deciso di impegnarmi come volontario, aderendo all’invito del mio amico Vito Brigadoi, che mi portò nel Consiglio direttivo dove rimasi per 17 anni. Mi sono occupato di amministrazione e burocrazia, investendo l’esperienza accumulata nella ditta di famiglia, il negozio di vernici Zadra, in Via Zara». Una gita memorabile? «Una delle primissime, sul ghiacciaio dell’Ortles assieme allo storico presidente del Cai Martinelli». Tempi eroici, si partiva con i camion… «Eh sì. Il boom economico degli anni Sessanta cambiò tutto: l’automobile ci portò a rinunciare alle chiassose trasferte collettive. Ma conservo comunque ricordi preziosi».
Furio Menestrina
La tessera dei Cai di Furio Menestrina, bancario in pensione, 87 anni e non sentirli, è da record: 74 bollini. «Mi sono iscritto quando avevo 15 anni, nel 1948, avendo come esempio mio padre che già negli anni Venti faceva il Giro del Sella. Una passione trasferita a tutta la famiglia: sono iscritti anche mia moglie e i miei due figli, uno è pure istruttore. Ora non posso più andare in alta montagna, ma la mia vita nel Cai è stata intensa: ho fatto parte del Consiglio direttivo e ho svolto una lunga attività come giudice di gara dello sci alpino. Anche ai Mondiali di Bormio del 1985».
Vito Brigadoi. Socio del Cai dal 1961, Vito Brigadoi compie quest’anno 82 anni. Attivissimo nel direttivo – dal 1963 in poi ha ricoperto le cariche di presidente, vice, segretario, ma anche istruttore di alpinismo – quando bel 1998 andò in pensione dall’Azienda Sanitaria di cui era un funzionario amministrativo scoprì nella sede del Cai una… montagna di materiale tutto da esplorare. Si mise di buona lena a riorganizzarlo e due anni dopo ne uscì un importante volume sui primi 80 anni della sezione bolzanina intitolato “In cammino da 80 anni”. Ma che cos’è il Cai per Vito Brigadoi? «La mia seconda famiglia, dopo quella “vera”». E se dovesse aggiungere un capitolo al suo libro, su questi ultimi vent’anni? «Lo dedicherei al nuovo impegno verso i giovani e verso la disabilità che la nostra sezione ha messo in campo». Un rimpianto, una scalata fallita? «L’ascesa al Cervino che con il gruppo Alta Montagna del Cai Bolzano avevamo organizzato mi pare negli anni Novanta. Ci fermò il maltempo. E ci sto ancora pensando…».