L’emergenza

Clima, boschi sotto stress: sempre più incendi sulle Alpi

Parlano gli esperti dopo il rogo in val Venosta. Tomelleri (Lub): «Ancora più coordinamento tra la nostra ricerca e la ripartizione foreste». Tagliavini: «Sempre più caldo, la neve evapora. Ascoltiamo la natura che cambia»


Paolo Campostrini


BOLZANO. Ci dobbiamo abituare. Ma, con l'abitudine, si deve programmare l'adattamento. A fine febbraio inizio marzo, boschi e prati in fiamme non si dovrebbero vedere. E invece si vedono. Oltre 100 gli ettari di bosco distrutti a Laces in Venosta da un incendio. «Ascoltare la natura che cambia», chiede allora Massimo Tagliavini. Serve a non farsi sorprendere o a non mettere la testa sotto la sabbia. Ma ascoltare non significa starsene fermi, perché il cambiamento climatico, quella cosa che sta sotto tutto quello che sta accadendo- dalle bombe d'acqua in valle l'anno scorso alla siccità di questi giorni - non si fermerà solo con gli idranti dei pompieri.

«Attenzione, il trend degli incendi è in progressione non solo sulle Alpi, ma in tutto il centro Europa e anche a nord», rivela a sua volta Enrico Tomelleri, docente Lub nell'ambito dell'ecologia forestale. «C'è stato caldo, la neve è subito evaporata, il terreno già asciutto di quella parte della Venosta si è ancora più seccato», aggiunge Tagliavini, professore nella facoltà di Scienze agrarie e ambientali. «Occorrerebbe ripulire tutto il sottobosco dai residui, creare vuoti nella vegetazione... Ma come si fa sulle Alpi?».

Dunque nuovi approcci di sistema, oltre all'impegno della Protezione civile. Perché il vento a marzo, ad esempio, fa quello che vuole. Tuttavia, aspettarselo tutto questo, in ogni caso serve. Ad aumentare la creatività dei contrasti. «Perché - ammette Tomelleri - non c'è una ricetta valida per tutti e per ogni circostanza».

Questo incendio devastante è stata un sorpresa professor Tomelleri?

Sorprendente nelle sue dimensioni. Nella devastazione, questo si. Perché non ne siamo abituati qui e in questa stagione. Ma se osservo i dati, vedo invece che quello degli incendi boschivi è un trend in accelerazione.

E dove?

Nella fascia alpina ma soprattutto in centro Europa.

Tutto questo ha a che fare con i cambiamenti climatici?

Sarebbe sbagliato non ammetterlo. È in atto un mutamento lento ma in profondità delle condizioni generali. E questa è una situazione che ha ormai vasti riscontri in ogni disciplina che se ne occupi.

I boschi sono al centro di questi rischi bioclimatici?

Lo sono. E ne costituiscono i primi sensori. Almeno su due fronti. Quello degli incendi sicuramente. Perché riscaldamento globale, cambiamenti climatici e altri fattori generali abbassano molto le difese, ad esempio, contro la ventosità. Il vento, che c'è sempre stato in Venosta, assume così un forza inedita sul piano delle potenzialità distruttive.

Il secondo fronte?

Aumentano i fattori di disturbo dei boschi. La tempesta Vaia del 2018 che ne ha certificato un certa debolezza. Poi il bostrico. Insomma, quello che voglio dire è che le nostre montagne e i boschi in particolare che ne costruisco la caratteristica identitaria, sono sotto pressione.

Una pressione sopportabile?

Sempre meno. Sia per fattori abiotici che biotici. I primi sono il vento, la neve che c'è e non c'è, il caldo, le piogge. Gli eventi anche estremi e contrari. Quelli biotici, i funghi e ogni aggressione dall'interno.

Che azioni di contrasto sono possibili?

Prepararsi, innanzitutto. Non farsi sorprendere da fenomeni che ormai stanno rientrando nella norma. Qui in Alto Adige c'è una ripartizione foreste che racchiude dentro di se moltissime competenze in merito. E questa è una garanzia. E poi serve una sempre più stretta collaborazione tra loro, che operano sul campo e la Lub, per fare un esempio, dove si sta facendo ricerca approfondita sulle conseguenze del cambiamento, sul monitoraggio dei sistemi naturali. Si tratta di una situazione mai vissuta prima quindi le competenze vanno il più possibile incrociate.

Lo state facendo già?

È in atto. Ma servirà intensificare su più livelli.

In sostanza c'è oggi una possibile metodologia, una cornice di azioni di contrasto specifiche da spendere subito?

Occorre dirlo con chiarezza. Non c'è una ricetta spendibile ovunque. Il cambiamento produce conseguenze molte volte inedite, nelle dimensioni e nel contenuto. La strada è quella di monitorare, registrare, studiare e incrociare dati e metodologie di approccio e di contrasto. Serve flessibilità e un enorme grado di adattabilità, anche nella ricerca, alla velocità dei cambiamenti.

Speranze?

Stiamo capendo tante più cose rispetto al passato. E, molto importante, i negazionisti del cambiamento sono sempre meno. Quindi è aumentata la sensibilità e, con lei, gli sforzi per contrastarlo.













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