Scienza e ambiente

Lupo preda sciacallo, il mondo che cambia ai piedi delle Dolomiti 

Sabato scorso il rinvenimento di un esemplare morto in Val Gardena Gli ecosistemi sulle Alpi sono in rapida evoluzione e richiedono nuovi approcci In Alto Adige i branchi di sciacallo dorato sono localizzati tra Val d’Isarco e Val di Funes-Gardena


Mauro Fattor


BOLZANO. Predazione di lupo su sciacallo. Questa l’ ipotesi. Siamo ai quasi 2000 metri di malga Pieralongia, nel comune di Santa Cristina, in Val Gardena. L’animale, è un maschio subadulto di 12, 6 chili. La carcassa è stata individuata sabato scorso, 13 marzo. Il rettore della riserva Rino Insam, senza perdere tempo, si è recato sul posto e ha effettuato i primi rilievi, in modo efficace e preciso. Lo sciacallo presentava segni di morsi nella regione del collo, da ciò l’idea che possa esserci di mezzo il lupo, certamente presente in zona come confermato da indagini genetiche, anche recenti, su alcuni campioni di escrementi.

Fin qui la cronaca delle ultime ore. Se fosse confermato, ma bisognerà attendere, si tratterebbe del secondo episodio in provincia di Bolzano di quello che i tecnici chiamano IGP, o “predazione intraguild”. Si tratta di un’interazione che rappresenta una combinazione tra esclusione competitiva e predazione. Il fenomeno è ben conosciuto e studiato. In sostanza: il predatore grosso, in questo caso il lupo, attacca quello piccolo, lo sciacallo, con un doppio beneficio: si riempie lo stomaco (solo qualche volta, per la verità) e toglie dalla circolazione un potenziale concorrente.

Era già successo il 13 aprile 2020, con uno sciacallo trovato morto nella zona di Mules-Campo di Trens. Per sapere se però si tratta davvero di un episodio di IGP bisognerà attendere un esame necroscopico più accurato. I fori nella regione del collo infatti potrebbero ingannare. Nell’aggressione a canidi più piccoli da parte del lupo, se di lupo si tratta, il copione è sempre lo stesso: morsi sul costato che spezzano le costole e che provocano un’emorragia polmonare. Tutti gli altri morsi, che possono essere anche diverse decine, sono inferti post-mortem e non provocano emorragie né segni evidenti sulla carcassa della preda. Stiamo dunque a vedere.

L’animale trovato morto in Val Gardena è stato infatti consegnato all’Ufficio Caccia e Pesca e dunque non bisognerà attendere molto per avere un quadro più chiaro. Comunque sia, queste nuove interazioni sono la fotografia di un ecosistema alpino in rapida evoluzione, Alto Adige compreso. Un dinamismo che offre scenari impensabili fino a solo pochi anni fa e davanti ai quali la Provincia di Bolzano sembra quasi paralizzata. Nessun cambio di paradigma, nessuna transizione ecologica dei cervelli, solo la riproposizione di ricette che vorrebbero riportare indietro le lancette, ad un tempo statico e perfetto senza lupi né sciacalli, alla ricerca di soluzioni in cui l’amore per le tradizioni si mescola ad una micidiale forza d’inerzia e ad una totale mancanza di strategia. Perchè là fuori, invece, le cose marciano. Eccome.

Oggi i branchi di sciacallo in Alto Adige sono probabilmente due, localizzati tra la Bassa e l’Alta Val d’Isarco, con un possibile, terzo nucleo riproduttivo tra la Val di Funes e la Val Gardena. A mettere i primi punti fermi sarà però la prima relazione sulla specie che Davide Righetti, tecnico dell’Ufficio Caccia e Pesca, sta preparando in queste settimane, non senza difficoltà. Quello che sappiamo per certo è che nell’arco di due anni e poco più sono stati trovati morti, per lo più investiti, 6 animali: 2 a Campo di Trens nel 2019, e poi nel 2020 uno a Varna, un altro a Campo di Trens e un terzo a Naz Sciaves, a cui si aggiunge poi quest’ultimo, nel 2021, a Santa Cristina. La specie è stata presente poi certamente fino al 2017 nella zona di Silandro, mentre osservazioni di individui in dispersione arrivano anche da altre località, per esempio da Dobbiaco o da Laces, dove nel 2019 un cacciatore è riuscito ad effettuare un filmato che non lascia dubbi.

A spiegare come stanno le cose a livello nazionale è invece Luca Lapini, faunista del Museo di Scienze Naturali di Udine, che per Ispra raccoglie dati dagli anni Ottanta: «La specie è giunta in Italia da Est nel 1984 - spiega - in seguito ad una graduale espansione consentita dalla decimazione del lupo balcanico, culminata nella seconda meta del XX secolo. In condizioni naturali, infatti, il lupo funge da naturale antagonista della specie, predandola attivamente e limitandone la presenza nelle zone coperte da estese formazioni forestali. La riduzione dei contingenti di popolazione del lupo in larga parte dell’Europa sembra essere la causa della impressionante espansione della specie in tutto il subcontinente europeo, dove ha ormai raggiunto il Mare del Nord, l’Ucraina, la Danimarca, la Francia, e, ovviamente il nostro Paese».

Ma quanti sono gli sciacalli oggi in Italia? «Parliamo di una quarantina di branchi per un totale di oltre 200 animali - spiega Lapini - La specie è diffusa in Triveneto, Lombardia, Piemonte e Emilia Romagna, dove ha raggiunto l’Appennino. Nel dicembre scorso abbiamo individuato in provincia di Parma il primo nucleo riproduttivo a sud del Po, ma probabilmente non è l’unico».

Va ricordato che lo sciacallo è un canide di medie dimensioni, poco più grande di una volpe. Più che un carnivoro va considerato un onnivoro opportunista, che certamente ama la carne ma con un’innegabile attitudine da “spazzino”. Le sue capacità predatorie sono smentite infatti da decine di ricerche scientifiche internazionali, l’ultima delle quali pubblicata nel settembre 2020, a firma di Pauline Lange, Henrik Johan de Knegt e Glen Lelieveld delle università di Amsterdam e di Wageningen. Nel mondo venatorio però qualcuno storce il naso e la questione è ancora aperta. A raccontare un mondo, quello sudtirolese, che fatica a rapportarsi con ecosistemi in rapida evoluzione, è anche la differenza di approccio adottata, di fronte alle stesse novità, in Trentino, dove il 27 dicembre 2020 è stato fototrappolato un esemplare di sciacallo nella piana di Fiavè. A sud di Salorno la novità è stata gestita con un lavoro di ricerca e controllo effettuato in sinergia, e alla luce del sole, tra Associazione Cacciatori del Trentino, Corpo forestale, Servizio Faunistico, a cui si è aggiunto poi il Muse di Trento. Più soggetti, con più competenze e con maggiore trasparenza e condivisione dei dati, anche nei confronti dell’opinione pubblica. Il contrario di quello che accade qui, dove l’esigenza di rimozione culturale e sociale del tema “predatori” in qualunque sua declinazione, ostaggio del mondo rurale, frena e ostacola anche la ricerca sul campo e impedisce il lavoro di squadra.













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