Messner: «Valanghe, inutile cercare le cause. È la natura che è imprevedibile»
Il Re degli Ottomila: «L’alpinismo è fantastico, ma ad alto rischio. Oggi è diventato più pericoloso anche a causa dei cambiamenti climatici»
BOLZANO. «Mi hanno detto che le vittime erano tutte ben attrezzate, avevano anche le viti da ghiaccio e il tempo era buono. Certo, hanno impiegato molto a salire. Tanto che alle 15.30, quando si è staccata la valanga, non erano ancora in cima. Ma davanti a cinque morti - di cui tre giovanissimi - non è il caso di fare ipotesi sulle cause di una tragedia che in un attimo ha distrutto tre famiglie».
Reinhold Messner, il Re degli Ottomila, commenta così il dramma che, sabato pomeriggio, 1 novembre, si è consumato sulla parete nord di Cima Vertana (3.545 metri di quota) nel gruppo dell'Ortles-Cevedale.
Com'è quella parete?
È una parete di ghiaccio. L'ho scalata, la prima volta, nel 1965. Avevo 21 anni, come due delle cinque vittime. All'epoca era considerata la parete di ghiaccio più difficile dell'Alto Adige. Ma bisogna considerare che nel frattempo è cambiato il mondo: le piccozze di allora sono state sostituite, a partire dalla fine degli anni '80, da attrezzature che rendono in qualche modo più facile e sicura l'ascensione.
Ciononostante, è successo. E sa perché?
Perché? Perché la natura è rimasta quella di sempre. Non matrigna come qualcuno stupidamente dice. Non è né buona né cattiva, semplicemente c'è. E come tale è imprevedibile. O meglio è prevedibile ma solo fino ad un certo punto. Infatti io non mi stanco di ripetere che l'alpinismo tradizionale è pericoloso. Il mio penultimo libro è proprio dedicato a questo: al sottile confine che in montagna c'è tra farcela e morire. Lo dimostra il fatto che la metà degli alpinisti più forti di ogni epoca sono morti in montagna. Oggi forse si sottovalutano i rischi. Si va ad allenarsi nelle palestre di arrampicata al coperto. Si scalano pareti verticali con un altissimo grado di difficoltà, ma l'alpinismo tradizionale è un l'altra cosa.
Proprio perché bisogna fare i conti con l'imprevedibilità della natura che sulla Vertana ha provocato il distacco di una valanga.
È così. L'alpinismo tradizionale è fantastico. Io che amo la natura non posso pensare a qualcosa da fare all'interno di una palestra. Però lo ripeto: è ad alto rischio. Perché sei in balia della natura che significa pioggia, neve, ghiaccio, bufera, caldo. Situazioni che rendono all'improvviso pericolosa anche l'ascensione più facile. Invece in una palestra di arrampicata indoor non devi mai fare i conti con i fenomeni meteorologici e questo fa la differenza.
Oggi è più pericoloso che in passato quello che lei chiama alpinismo tradizionale?
È cambiato in maniera radicale ed è diventato più pericoloso anche a causa dei cambiamenti climatici che hanno provocato un innalzamento delle temperature, rendendo molto più fragile ed instabile la montagna e i ghiacciai.
L'intelligenza artificiale ci potrà aiutare anche a decifrare meglio la montagna e quindi a ridurre i rischi?
Credo proprio di no. La natura non è "calcolabile" ed è sempre più imprevedibile. Lei è un sopravvissuto: fa parte di quella metà di alpinisti di altissimo livello che ce l'hanno fatto.
Come si spiega?
Mi sono sempre preparato molto. Ho studiato, cercando di capire gli errori che per altri si sono rivelati fatali. Ho provato per così dire a "leggere" la montagna. Ma devo ammettere di essere stato anche fortunato. Mi sono salvato nella discesa dal Nanga Parbat, vagando per cinque giorni in mezzo a crepacci e seracchi, dopo che avevo perso mio fratello Günther e tutti ormai mi davano per morto. A.M.