la polemica

A Selva Gardena i lupi di legno sono stati "esiliati" dal paese: «Turbano i turisti»

L’installazione firmata da 7 artisti gardenesi è stata spostata sul Monte Pana. Gli scultori: «Per noi il lupo è uno stimolo a riflettere sugli squilibri provocati dall’uomo». L’Azienda di Soggiorno dice no: «Non vogliamo che la discussione arrivi nelle reception degli hotel»


Mauro Fattor


BOLZANO. “Arte in centro” , “Ert tl zënter” alla ladina, è il motto dei 17 artisti del gruppo Unika, che da domani a metà settembre esporranno in pubblico 11 progetti di sculture e dipinti di arte contemporanea valorizzando il talento creativo di quanti - non moltissimi, per la verità, ma spesso di grande successo - scelgono di deragliare dai binari certissimi della tradizione gardenese per esplorare nuovi territori. Quest’anno poi, per la prima volta, le opere verranno portate in tutti e tre i comuni della Val Gardena: Ortisei, S.Cristina e Selva Gardena. «Il singolo artista di Unika - dice il presidente Christian Stl - fa solo ed esclusivamente ciò che lo muove e lo motiva, senza essere influenzato o condizionato da un curatore. Questa libertà dell’atto creativo è una delle nostre caratteristiche. Per me l’espressività dell’opera deve riuscire a stimolare la discussione attraverso l’occhio critico dello spettatore». Impeccabile.

Le cose però non andranno esattamente così e se sarà “arte in centro” non lo sarà davvero per tutti. C’è infatti un’installazione che dal cuore culturale di Selva Gardena, il prato del Tublà da Nives, dove era stata collocata in vista dell’apertura della biennale, è stata rimossa prendendo la strada del Monte Pana, lontano dal rito del passeggio e dagli sguardi dei turisti. Si tratta de “I lupi” degli artisti Adolf Vinatzer, Gerald Moroder, Giovanni Demetz, Hubert Mussner, Otto Piazza, Samuel Perathoner, Walter Pancheri. Otto animali in tutto, un vibrante branco di legno, nato da un’idea molto chiara: «Abbiamo preso il lupo come simbolo d’equilibrio tra ambiente naturale e specie umana - spiegano gli autori - Una provocazione artistica per testimoniare certe problematiche di cui il lupo è ignaro protagonista. Da tempo infatti queste creature si spingono verso le zone abitate attaccando pecore e altri animali, determinando la rabbia degli allevatori e, in generale, i timori di intere comunità. Questo branco però non fa paura, induce anzi al contatto, stimolando la riflessione sui disequilibri provocati dagli uomini. Le città invadono sempre più i territori boschivi sottraendo agli animali le loro aree e inducendoli a cercare cibo altrove. Ma adesso i lupi sono fermi, immobili, non attaccano, si lasciano invece abbracciare, ed è un abbraccio allusivo, ideale, eppure non meno autentico, grazie anche all’abilità tecnica di chi scolpisce, capace di imitare le forme e con esse lo spirito più autentico della Natura».

Niente di nuovo sotto il sole, in fondo. È l’arte che fa l’arte, che “provoca” con intelligenza stimolando la riflessione pubblica su temi complessi facendo del pensiero critico dello spettatore il complemento necessario dell’intuizione di chi crea. Questo atto solidale e silenzioso tra l’artista e il suo “doppio” però a qualcuno non va giù. E così tutto questo bel discorso si schianta e muore varcando la soglia dell'Azienda di Soggiorno. Di Selva, ovviamente. Arbitro unico della legittimità e dell’opportunità della provocazione artistica. È per questo “I lupi” lasciano il centro del paese e prendono la strada dei boschi. A spiegare la ratio della decisione è lo stesso presidente dell’Azienda di Soggiorno, Christoph Vinatzer: «Quella è una provocazione, è chiaro. Capisco che l’arte può essere provocatoria, ma quella sul lupo è una tematica che va affrontata in altra sede. Con i contadini, con gli allevatori, con i cacciatori, con la politica. Non qui e non in quel modo. Dove era stata messa, sul prato del Centro culturale, quell’installazione non poteva stare. Lì c’è un grande passaggio di turisti, che dopo aver visto i lupi degli scultori tornano negli alberghi e fanno domande, chiedono spiegazioni. Si preoccupano, non capiscono. Noi come Azienda di soggiorno rappresentiamo i nostri associati e su questo punto erano tutti d’accordo: non vogliono trasferire la discussione sul lupo nelle reception degli hotel. La gente dopo la pandemia ha diritto di sentirsi sicura e tranquilla, non deve sentirsi turbata. È gente che viene da Roma, da Milano, dalle città. Ci chiedono: “Ma cosa succede qui in Alto Adige?”. Questo non va bene. Che gli scultori prendano i loro lupi e che li portino giù davanti alla Provincia». Vinatzer risponde anche alla domanda più ostica, quella sul diritto da parte dell’Azienda di soggiorno di definire il perimetro entro cui gli artisti di Unika si possono o si devono muovere, soprattutto dopo che il progetto era stato definito ed approvato da tempo. Domanda retorica, perchè la risposta è ovvia: nessun diritto. Il presidente dell’Azienda di Soggiorno lo sa perfettamente: «Io questo diritto non ce l’ho, è chiaro, ma un margine di iniziativa sì, e l’ho utilizzato. La biennale è finanziata anche con i soldi dell’Azienda e dunque posso dire la mia. Ho chiamato il presidente di Unika e gli ho detto che le cose così non ci andavano bene. Lui ha capito e hanno accettato di spostare l’installazione a Monte Pana. Poi più avanti, se vogliono portarla in paese, quando non c’è più tanto movimento, per me va bene. Che facciano pure». La questione economica è centrale. La mostra di Unika dipende infatti dai finanziamenti pubblici dei tre Comuni gardenesi più Castelrotto e dalle relative Aziende di soggiorno. «Solo di spese vive per le installazioni - spiega il presidente Christian Stl - siamo intorno ai 90 mila euro. È chiaro che, dipendendo dal denaro pubblico, questo finisce col condizionare anche le nostre scelte. C’è stata un po’ di discussione al nostro interno per questa vicenda, alla fine però abbiamo accettato di spostare i lupi a Monte Pana».

Ad animare il dibattito all’inizio di questa vicenda era stato anche l’ex-sindaco di Selva, Peter Mussner. «Sì, avevo fatto un post all’interno di un gruppo di allevatori gardenesi, tutti appassionati, come me. Saremo una quindicina in tutto, e da lì era nata una discussione. La mia - spiega Mussner con grande pacatezza - era stata una risposta emotiva, a caldo. Avevo perso alcuni animali pochi giorni prima proprio a causa del lupo. Però lo rifarei, nel senso che rivendico il diritto ad esternare le mie emozioni, anche se capisco e rispetto il diritto degli artisti ad esprimersi come meglio credono. Alla fine, se anche avessero lasciato la loro installazione lì dov’era, in paese, io non avrei insistito. La vicenda si è poi risolta molto velocemente con l’intervento dell'Azienda di Soggiorno e, per quanto mi riguarda, la questione è morta là. Avevo anche immaginato di coinvolgere gli artisti, chiedendo loro di aiutarci a far emergere la problematica del lupo. Avremmo potuto pensare ad una mostra fotografica per far vedere accanto alla loro installazione cosa significa avere il lupo sul territorio, ma poi ho lasciato perdere. Non era questo il senso del loro intervento, gli artisti non vanno tirati per la giacchetta».













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