La storia

I preziosi reperti Maya ritrovati a Dobbiaco dopo il giro del mondo 

Come un romanzo: l’incontro, l’amore e le ricerche di Lisa Glauber e Cesare Fabietti


Jimmy Milanese


DOBBIACO. Il luogo dal quale comincia questa affascinante storia è Dobbiaco. La vicenda si sviluppa tra Trieste e i campi di cotone di El Salvador e mette in relazione un importante ritrovamento archeologico donato venti anni fa al Museo J. J. Winckelmann di Trieste con le le vicende della famiglia altoatesina Glauber, i fondatori della Unda, fabbrica che proprio a Dobbiaco produceva radio.

Per capire i contorni della vicenda bisogna ritornare all’estate di venti anni fa quando Lisa Glauber - figlia di Max che nel 1925 a Dobbiaco fondò la Unda - ritrovò nella soffitta della sua casa tra le Dolomiti una cassa abbandonata dal defunto marito agronomo Cesare Fabietti, che dagli Stati Uniti il 30 aprile del 1959 l’aveva spedita nella città natale di Trieste, ma che con la morte della madre nel 1994 era finita nella sua casa di Dobbiaco.

Fu la stessa Lisa Glauber a spiegare come la cassa arrivò a Dobbiaco: «Anni fa Cesare sistemò una pesante cassa di legno in soffitta a Dobbiaco che era stata imbarcata da El Salvador. Quando gli fu chiesto cosa contenesse, rispose che si trattava solo di una massa di argilla e di un vaso o due, ma non volle mai aprirla, creando così un’aura di mistero», raccontò nel 2003 Glauber a Marzia Vidulli Torlo, autrice del volume “Ceramiche Maya da El Salvador della Collezione Cesare Fabietti dei Civici Musei” e conservatrice del Civico museo d’Antichità J.J. Winckelmann di Trieste.

Mistero che durò fino all’estate del 2001, quando la cassa fu aperta e con stupore della famiglia all’epoca riunita a Dobbiaco ne uscì un tesoro. In carta di giornale per lo più del “Time, the weekly newsmagazine” edizione latino americana del 1956 risultarono avvolte 87 figurine umane, 23 di animali, 16 vasi o frammenti e 8 strumenti in una cassa contenente anche un foglietto che recava la scritta a matita “Lempa”.

Per capirne la provenienza è necessario inquadrare la figura di Cesare Fabietti. Classe 1923, Fabietti si era prima laureato in Agraria all’Università di Bologna per poi trasferirsi negli anni ’50 in America. In Guatemala e nella Repubblica di El Salvador aveva lavorato come agronomo sul fiume Lempa.

Infatti, già lo studioso Wolfgang Haberland aveva eseguito degli scavi nella regione pianeggiante del Dipartimento di Usulután, scoprendo una produzione artistica composta da una sessantina di teste umane nascoste in un tunnel. La presenza esclusiva nell’area di San Marco di Lempa di questa singolare produzione artistica aveva fatto ipotizzare l’esistenza di una cultura che con l’apertura della cassa di Fabietti trovò poi conferma.

Deceduto nel dicembre del 1999 nella sua casa di San Francisco, nel suoi viaggi Fabietti aveva acquisito una notevole capacità in campo agrario, soprattutto lavorando per una società svizzera in California ma anche in Pakistan orientale, Egitto, Colombia e Isole Baleari. Tra i suoi amici di gioventù si annoverano imprenditori come Ernesto Illy, con il quale Fabietti intraprese un progetto all’avanguardia in Guatemala e Brasile per evitare che a temperature elevate la ciliegia del caffè finisse per fermentare e mandare all’aria il raccolto.

Nel suo continuo peregrinare, Fabietti conobbe e si innamorò di Lisa Glauber, anche lei dal 1958 emigrata da Dobbiaco a New York, dove aveva iniziato a studiare le condizioni di vita e di salute delle popolazioni povere degli Stati Uniti. Una vocazione, quella per la ricerca, che Lisa aveva in comune con il fratello sociologo Hans, studioso alla “Scuola di Francoforte” con i professori Adorno, Horkheimer e Markuse. Hans Glauber è considerato anche tra i padri dell’urbanistica ed energia ecologica in Italia e del progetto tutto altoatesino di CasaClima.

Lisa, Hans e l’altro fratello Enrico Glauber trascorsero gran parte della loro infanzia a Dobbiaco, prima che le leggi razziali causassero la perdita di tutti i beni familiari e obbligassero la famiglia ad emigrare a Como, dove la Unda riprese a produrre radio. La stessa Lisa, dopo 26 anni negli Usa, per un breve periodo tornò a Como, prima tornare in America nel 1978 per seguire Cesare Fabietti, il secondo marito.

Nel suo secondo periodo americano, Lisa Glauber si occupò dell’accoglienza di senzatetto, tossicodipendenti e famiglie svantaggiate. «Sono tornata in Italia dopo 39 anni vissuti, con una interruzione, negli Stati Uniti, dai tempi esilaranti di John F. Kennedy a quelli arroganti di George W. Bush. Volevo tornare a Como e Bush mi ha dato l’ultima spinta», scrisse Glauber in una lettera all’ex ambasciatore Sergio Romano.

Una dedizione verso i più poveri e i più deboli, quella della Glauber, che cozza con le ben diverse origini della sua famiglia. Basti pensare che Karl Polz, bisnonno di Lisa e originario della Slovenia asburgica degli anni ’20 del ’800, prese parte alle campagne italiane del 1848/49 a fianco del Maresciallo Radetzky, ma anche a quelle di Bosnia/Erzegovina del 1878 che gli valsero il soprannome di “Conquistatore di Sarajevo” e un grado di Generale maggiore ottenuto sul campo.

Polz e la moglie Elise Rutter - anche lei nata a Dobbiaco - diedero alla luce otto figli, tra i quali Elsa e Ghisa. La prima divenne attrice, mentre la seconda affermata soprano a Praga dove incontrò Moritz Glauber, banchiere ebreo amante della musica. I due si trasferirono a Bolzano e dalla loro unione nacque Max, il fondatore della Unda e unico figlio della coppia che nel frattempo si era spostata a Dobbiaco: paese natio della madre Else Rutter dove i due costruirono la famosa “Villa Glauber”. Tra Bolzano per motivi di studio e Dobbiaco per motivi di quiete, il padre di Lisa Glauber conobbe la futura moglie Trude Walther von Herbstenburg, figlia del parlamentare che a Roma pronunciò il discorso sull’italianità dell’Alto Adige appena passato sotto la corona dei Savoia.

Le radio e l’arte.Proprio in quella Dobbiaco dove, invitato dalla famiglia Glauber, il giovane Ernesto Illy aveva trascorso alcune estati della sua infanzia, prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale. Fu ancora lui, in una intervista del 2003 a Maria Vidulli Torlo a fornire elementi utili per far luce sulla vicenda. «La moglie di Cesare, Lisa, era una Glauber e apparteneva a quella famiglia che a Dobbiaco possedeva una fabbrica di radio e che in seguito alle leggi razziali, poiché ebrea, fu perseguitata e perse tutto. Da piccolo, con i miei, ero stato loro ospite e certamente avrò giocato con quella ragazzina che poi in California conobbi come la moglie del mio caro amico Cesare Fabietti. Una strana coincidenza», raccontò Illy che aggiunse: «Cesare era una persona molto sensibile alla musica e all’arte e probabilmente questa propensione lo avrà spinto a conservare i reperti archeologici dai quali sarà stato certamente affascinato. Fatto che poi ha tenuto segreto senza mai rivelare l’esistenza della cassa misteriosa», concluse Illy.

Memorie Maya. Dopo diversi studi è emerso che i reperti della raccolta Fabietti appartengono alla cultura Maya, nella particolare realtà periferica del territorio occidentale di El Salvador, nel tardo periodo Preclassico finale (tra 300 a.C. e 300 d.C.). Reperti che, scrisse il funzionario triestino Adriano Dugulin, per quasi 50 anni sono stati nascosti «dove il Silvesterbach si discosta dalla Mahlerstrasse, dopo averla affiancata per un bel tratto, e la strada penetra in un’area boschiva prima di immettersi nella Kranische Dolomiten Strasse che separa la parte vecchia di Dobbiaco dalla residenza estiva di Gustav Mahler. Qui si apre un cortile sul quale si affacciano le case della famiglia Glauber».













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