«Io, prete orfano dei miei fedeli tra paura e fede»
Il parroco e decano di Ortisei. «Questa incertezza mi pone una domanda: a chi possiamo rivolgerci? Secondo me, in questa circostanza si scopre anche l’energia che proviene dalla speranza»
Ortisei. L’epidemia connessa con la diffusione del CoronaVirus ha un forte impatto su molti aspetti della convivenza tra le persone. Quella in corso non è soltanto un’emergenza sanitaria, ma un evento che coinvolge molti aspetti della vita personale e sociale, che chiamano in causa anche la Dottrina sociale della Chiesa. Ecco alcune riflessioni sull’emergenza in atto, e soprattutto sul dopo-coronavirus, da parte del parroco, nonché decano di Ortisei, Vijo Pitscheider.
A qualche settimana dall’inizio di questa nuova situazione, come sta parroco?
“Io al momento sto bene, sono contento, mi sono abituato a questa nuova situazione, a questo nuovo stile di comportamento di vita e ad essere piuttosto isolato e ritirato. Il giro che posso fare anche più volte al giorno è quello dalla canonica alla chiesa. Vivo una vita da orfano, orfano della parrocchia dei parrocchiani, con un’attività pastorale molto ridotta. All’inizio come cittadino ho sentito parlare di questo virus, ma sinceramente non l’avevo preso troppo sul serio, ma ben presto, seguendo le restrizioni imposte, ho capito la serietà di questa malattia e mi sono immediatamente adeguato alle nuove disposizioni”.
Come trascorre questo periodo?
“In questa nuova situazione imparo tante cose. Prima di tutto che non c’è più fretta. Ognuno ha più tempo per se stesso e per gli altri. Come parroco, come tutti, non posso avere tanti contatti, mi trovo in canonica, ogni tanto vado in chiesa. Ho scoperto che, a volte, le cose che facevo erano diventate un po’ abitudinarie, adesso faccio tante cose in più per me e così anche la mia coscienza si lima e diventa un po’ più sensibile, facendomi capire quali sono effettivamente le cose essenziali, portandomi più a coniugare vita e malattia, morte e paura. Fatti che pungono la coscienza, ma risultano essere molto sani, capace di esprimere più a fondo i sentimenti, gioie, paure e speranze”.
Sono consentite celebrazioni in chiesa?
“Le messe, quotidiane, non possono essere frequentate dalle persone. Per fortuna i nuovi sistemi di comunicazione, aiutano anche noi in modo da poterle trasmetter alla radio, dalla quale, nelle ore serali, si possono seguire anche i rosari, la via crucis e le liturgie della penitenza. Battesimi e matrimoni, al momento, non sono consentiti. Per la prima comunione prevista per l’ultima domenica di aprile ogni decisione è rinviata. Indubbiamente se fosse confermata la data verrebbe a mancare la preparazione, da parte della comunità parrocchiale, molto importante per i bambini e le loro famiglie. I funerali, già tristi e difficili di loro, in questo periodo lo sono ancora di più, non solo per un numero più elevato del solito, ma perché si possono celebrare solo all’aperto (cimitero) e con pochi parenti. Si dicono alcune preghiere e io do la benedizione alla salma. In questo senso ci siamo impoveriti parecchio”.
Come vengono assistiti spiritualmente i fedeli della parrocchia?
“Nell’assistere spiritualmente la gente della mia parrocchia sono molto condizionato, alcuni chiamano, altri li chiamo io. I contatti sono solo virtuali. Al telefono vengono chieste benedizioni, protezione di Dio e di pregare insieme il Padre nostro dando un accento particolare al passaggio “liberaci dal male”. Inoltre vengono manifestate la loro situazione, dubbi, incertezze, paure ed espressioni di qualche speranza cristiana. Invito tutti a pregare. Le preghiere risultano essere più vere e sincere”.
Quali sono le parole di conforto e riflessione per superare questo periodo?
“Ricordo a tutti che una forza molto positiva è una genuina fede, che c’è Dio, il quale ci ha donato la vita e dato i sacramenti. Il contatto con Dio aiuta a sperare. Ritrovandolo come Dio Padre si riesce a superare meglio questo periodo di quaresima “forzata” per tutti noi, completamente nuova, un periodo, che ognuno ha dovuto affrontare. Non solamente chi va in chiesa, ma chiunque è stato costretto a dover fare molte rinunce e molti cambiamenti”.
Cosa si può imparare da questa esperienza nuova per tutti noi?
“Si cerca di imparare ad usare l’intelligenza umana, ossia la capacità di osservare e di leggere quello che succede per capire, conoscere le cause e cercare di vedere come superare questa malattia, per la quale viene richiesto uno sforzo immenso a tutti noi. Bisogna pensare già al dopo-virus, provando ad essere “lungo veggenti”, tentando di fare alcuni pensieri positivi, avere delle idee, preparare qualche programma per il futuro. Occorre “dare più fiato” alla propria vita, curandola meglio di come fatto finora. Questa è un’esperienza alla quale ci dobbiamo sottomettere e questa sottomissione ci pone delle domande, come ad esempio, da dove viene questo virus? Quale erano le mie possibilità, i miei desideri, la mia libertà, i miei movimenti finora, tutto era o sembrava molto comodo, bello e dinamico? Invece adesso dobbiamo tutti ritirarci come in una specie di clausura, nella quale nessuno può contattare direttamente le persone.
In questo modo molte cose vengono a mancare. Ma quali cose vengono veramente a mancare? E quali sono quelle che posso scoprire o riscoprire? A me sembra che proprio queste domande esistenziali riguardano l’insicurezza della mia esistenza, l’essere esposto a questo pericolo. Tutta questa incertezza mi pone una domanda: a chi possiamo, noi parrocchiani, rivolgerci per avere una risposta più sicura? Secondo me in questa circostanza si scopre anche l’energia che proviene dalla speranza e dalla fede cristiana e si deve provare a riuscire, non tanto con parole, ma con il cuore e con il desiderio, ad agganciarsi un po’ più al Dio della vita, a colui che ci ha creato e battezzato. Questo aiuterebbe a trovare le riposte”.
Come un fedele può vivere il rapporto con Dio?
“Bisogna riuscire a rivolgersi con sincera chiarezza a Dio, che proprio in questo periodo in cui siamo perseguitati da questo virus ci dà la possibilità di vivere ancora questa situazione, in cui noi siamo tutti titubanti, e ci permette di riscoprire la fonte della vita. Ci aiuta a riscoprire i sacramenti che abbiamo ricevuto, come il battesimo e la prima comunione, il matrimonio, riscoprendo che in noi Dio è presente con tante grazie che possono essere l’antidoto della malattia. Questa, secondo me, è una grandissima forza, che ci aiuta a scoprire che la preghiera è grazia per vivere già in questo mondo, non solo per arrivare all’altro, e per superare giorno per giorno quello che la sorte ci ha fatto avere con questo virus. Ci accorgiamo che andare a messa, ricevere i sacramenti e pregare non sono cose di pura devozione, ma sono proprio un elemento, un’energia necessaria costitutiva della mia vita come persona umana, per cui ritrovo la gioia della fiducia cristiana”.
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