La storia

Nikita, fuga dall’Ucraina e dalle macerie dell’asilo: in Pusteria torna il sorriso

Anna Makarska ha lasciato la sua casa con il marito, i tre figli, la madre e la nuora


JImmy Milanese


SAN LORENZO DI SEBATO. La costruzione al valico di Prato alla Drava accoglie chi entra in Alto Adige con i colori dell’Italia che sventolano alle finestre aperte.

È la prima immagine che la famiglia ucraina Makarska ha visto della nostra provincia quando, nella notte tra mercoledì e giovedì, dopo un viaggio di 1800 chilometri, ha varcato il confine per trovare riparo all’Hotel Mondschein di San Lorenzo di Sebato. L’hotel ospita una decina di cittadini ucraini fuggiti dalla guerra.

Sette sono i componenti della famiglia: Anna Makarska, 36 anni, capelli biondissimi, il marito Alexander, i due figli maggiori e il piccolo Nikita, la madre e la nuora.

Con il gatto Airis sono scappati dall’inferno di Zhytomyr. Incontriamo Anna e la sua famiglia nella stanza che Kurt Winkler, consigliere comunale e proprietario del Mondschein, ha messo a disposizione. Apre la porta Nikita, che spaventato scappa via. Arriva Anna, ci presentiamo e la ci fa entrare come se fossimo amici da sempre.

Sono scappati dall’Ucraina a bordo della loro auto, lasciando alle spalle una bella casa, parenti, amici e un Labrador con il quale Nikita giocava sempre. “La nostra città è un inferno. Tutto è bersaglio dei russi che ci bombardano con missili provenienti dalla Bielorussia”, spiega Anna, aiutata nell’inglese dal figlio più grande e dal marito.

I missili partono da una distanza di circa 400 chilometri e colpiscono una città storica di 270.000 abitanti, simbolo dell’Ucraina, perché durante il breve periodo di indipendenza nel 1918 fu eletta capitale. Zhytomyr sta registrando un numero elevatissimo di vittime, spiegano Anna e suo marito, che ha fatto di tutto per portare quanti più componenti della famiglia al sicuro.

“Sparano missili da lontano e per colpire gli insediamenti militari alla fine distruggono tutto, anche la scuola dei nostri figli”, spiega l’uomo e la moglie mostra un video nel quale il complesso scolastico appare raso al suolo. Forse perché la parola “scuola” suona simile in tante lingue, appena viene pronunciata Nikita si fionda verso un tavolino sul quale è appoggiato un libro di fiabe.

Il libro si è salvato nella guerra e, tra i tanti giocattoli regalati dalla comunità altoatesina alla famiglia ucraina, quello sembra l’oggetto preferito dal piccolo. Ha tre anni, si è ripreso dallo spavento iniziale.

“La sua scuola non c’è più - dice Anna con la dignità di una donna che sente il peso della famiglia sulle spalle - la nostra città non c’è più e noi siamo qui a sperare che i nostri familiari e i nostri amici rimasti lì a combattere riescano a farcela”.

Chiediamo se sia loro intenzione rimanere in Alto Adige o tornare in Ucraina e non ha dubbi: “Non finiremo mai di ringraziare per l’aiuto che stiamo ricevendo in Italia, ma la nostra intenzione è di ritornare in Ucraina, appena possibile”.

La donna, infermiera in una clinica estetica, aggiunge: “Prima dello scoppio delle ostilità sentivamo dalle televisioni che i russi sarebbero arrivati, mai però ci saremmo aspettati un’escalation del genere con razzi sparati sulle case”, spiega Anna e il viso del marito si fa sempre più cupo. Parlano correttamente anche il russo e non mostrano alcun rancore nei confronti dei russi.

Mentre parliamo con i due coniugi, dai corridoi dell’albergo spunta Airis, il gatto di famiglia, anche lui all’inizio intimorito dalla nostra intrusione e sul quale il piccolo Nikita si avventa per cercare di coccolarlo.

“Nella casa in Ucraina è rimasto il nostro Labrador, perché sarebbe stato impossibile fare un viaggio così lungo anche con un cane, ma ovviamente ci manca incredibilmente. A noi e sopratutto ai nostri figli”, sintetizza Anna, mostrandoci un video nel quale si vede il cane giocare assieme al più piccolo della famiglia.

Non ce la sentiamo di fare altre domande, chiediamo di poter fare una foto, promettendo di togliere il disturbo. Il più triste di tutti, con il capo chinato sui suoi giochi, sembra essere Nikita. “Vuole salutarti alla sua maniera”, indica la madre, mentre il piccolo alza la sua manina, aspettando il cinque di ritorno. Non ha perso il sorriso Nikita: i missili dalla Bielorussia, quello, non riusciranno mai a colpirlo.













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