L’anno cruciale che a Merano cambiò tutto 

Storia. Il 1920 raccontato da Tiziano Rosani, curatore del Mamming, segna la rinascita dopo il crollo economico della Prima guerra mondiale Anche le organizzazioni dei lavoratori tipicamente “italiane” iniziarono ad attrarre persone di lingua tedesca, nonostante la questione etnica


Jimmy Milanese


Merano. In piena pandemia, con la città da poco commissariata, senza i mercatini e con una stagione invernale che minaccia di saltare, il 2020 meranese si appressa a chiudersi come pochi mesi fa nessuno si sarebbe immaginato. Un salto all’indietro nella storia mostra però come anche il 1920 fu un anno assai complicato per la nostra città, preceduto e seguito da una serie di eventi sociali e politici che ridisegnarono il volto di Merano. Perché a partire dagli anni Venti, tutto avrebbe testimoniato lo sviluppo di una “doppia vita” che Merano intraprese in ambito culturale, politico ed economico. Infatti, il passaggio dell’Alto Adige all’Italia segnò per Merano l’accelerazione di un lento processo di “italianizzazione” della vita sociale cittadina che ebbe inizio in epoche ben più lontane, a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, quando la città aveva iniziato a importare il turismo d’élite e con questo necessitava di manodopera proveniente dal Trentino, dal Friuli e soprattutto dal Veneto.

Due contributi.

A spiegare questo passaggio cruciale per la città di Merano ci hanno pensato due contributi contenuti all’interno del prezioso volume “Kafka a Merano” a cura di Patrick Rina e Veronika Rieder per Raetia editore. Il primo è “La Merano di Kafka: la cultura a Merano negli anni Venti”, ad opera dello storico Ferruccio delle Cave, mentre il secondo, “La comunità italiana di Merano nei mesi del soggiorno di Franz Kafka”, è uscito dalla penna di Tiziano Rosani, curatore del Palais Mamming Museum e tra gli autori che negli anni hanno dato voce alla complessa storia della nostra città.

La fine della guerra.

Con la fine della prima guerra mondiale, una delle località di cura più rinomate della monarchia asburgica si era ritrovata in braghe di tela. Spariti i turisti, la città aveva perso tutto il suo fascino attrattivo e con il crollo delle monarchie europee che mise allo sbando una nobiltà completamente scollegata dalla società civile, Merano era piombata in una situazione politica di incertezza che sarebbe durata diversi anni.

Alcuni avvenimenti di quell’anno testimoniano il clima che si respirava in città. Dopo sei anni dall’inizio della sua costruzione, il 3 aprile del 1920 veniva inaugurato il monumento ad Andreas Hofer posto ancora oggi di fronte alla stazione, ma solo poche ore dopo ignoti lo avrebbero imbrattato con la scritta “Evviva l’Italia”, dipingendo la statua con i colori della bandiera italiana. Poco più di un mese dopo, era il 9 maggio, si svolse la manifestazione della popolazione di madrelingua tedesca a favore dell’indipendenza del Sudtirolo. Nel contempo lo Stato si era già attivato per confiscare diverse proprietà appartenute a cittadini del Reich, contribuendo sia a fomentare un forte sentimento anti-italiano nella popolazione di madrelingua tedesca, sia a scoraggiare molti stranieri dal recarsi in città.

Due anime.

A partire dal 1920 il clima in città però cambiò, come testimonia anche un messaggio dell’aprile di quell’anno scritto dal commissario civile Luigi Negri e riportato da Rosani: «Una situazione politica buona ma non normale in una terra dove la popolazione per tradizione e per educazione è per lo meno diffidente verso noi italiani», scriveva Negri. Ai seppur pochi visitatori la Merano del 1920 mostrava sempre più le sue due anime distinte: da una parte quella tedesca, dall’altra quella emergente italiana. Una di lunga data, cioè quella della popolazione di madrelingua tedesca che in città e soprattutto nelle aree periferiche aveva fossilizzato la sua presenza fin dal VII secolo, quando l’idioma germanico avevano iniziato a penetrare nella regione.

Il processo di germanizzazione – iniziato con l’arrivo dei baiuvari, proseguito con la nascita della Contea del Tirolo e concluso nel periodo asburgico – nella seconda metà dell’Ottocento si sarebbe inaspettatamente intersecato con l’arrivo in città di lavoratori “italiani”, i quali nello sviluppo del settore turistico locale trovavano una possibilità di occupazione adeguatamente retribuita. Insediamenti “italiani” censiti e descritti ad esempio dallo scrittore Anton Edlinger per quanto riguarda l’abitato di Sinigo e non solo. «Mezza Maia Bassa è italiana, Postal e Gargazzone non sono da meno», scriveva nel 1887 l’autore di “Aus deutschem Süden: Schilderungen aus Meran”. Lavoratori impiegati in mansioni tra le più umili ma che contribuirono alla prima trasformazione urbanistica della città, capace di lanciare Merano tra le mete turistiche più rinomate in Europa.

Le organizzazioni italiane.

Per forza di cose, il costante arrivo di lavoratori italiani portò in città anche alla costituzione di una serie di organizzazioni sociali e politiche di matrice cattolica o socialista. È il caso della Società operaia cattolica italiana di Merano, risalente al 1898, che con il passaggio della città all’Italia prese nuovo vigore. La Società operava per assicurare alle classi sociali più povere un livello di attività educativa capace di elevare la loro condizione sociale, ma allo stesso tempo non disdegnava la collaborazione con organizzazioni religiose di lingua tedesca con le quali venivano organizzate processioni religiose.

Cattolici da una parte, socialisti dall’altra: in un doppio binario che intersecava la questione etnica con la presenza in città di “italiani” di area cattolica e di altri di area socialista. Una coabitazione normale in altre realtà italiane dell’epoca che a Merano però si doveva confrontare con la frattura tra i due gruppi etnici. Ad esempio nel 1899, per la festa del Primo maggio, a Merano giunsero seicento lavoratori italiani scesi in piazza sotto lo sguardo perplesso dei meranesi di madrelingua tedesca. Solo 21 anni dopo, era il 1920, la stessa manifestazione socialista vide la presenza di entrambi i gruppi etnici.

I socialisti.

La presenza “italiana” a Merano era favorita anche dalla Società operaia – mai soppressa dalle autorità austriache – la quale trovò una prima forma di rappresentatività con l’arrivo in città di don Pietro Rensi nel 1920. Dello stesso anno la nascita della prima cooperativa socialista con sede in piazza della Rena che poté contare subito su oltre 200 iscritti. Sempre a quel periodo – spiega Tiziano Rosani - risale la fondazione della sezione meranese del Partito socialista italiano, avvenuta al ristorante Milano di via Fossato Molino.

In conclusione, a cent’anni da quel 1920, in un’epoca in cui a Merano le organizzazione interetniche e interpartitiche ormai non sono una novità, risulta sorprendente rilevare l’attivismo di un particolare sodalizio denominato “Pro coltura e previdenza” il quale operò a cavallo del primo conflitto bellico. Considerato equidistante da socialisti e cristiano-cattolici, probabilmente a componente etnica mista: fanno riflettere le parole che il suo presidente Pietro Sandri indirizzò al re e alla regina d’Italia in visita a Merano nell’ottobre del 1921: «Abituati da tempo a convivere qui con gente d’altra lingua, ne comprendiamo le necessità nazionali cui noi non ci opponiamo né ci opporremmo».













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