MUSICA

“Better Must Come”, il nuovo reggae ora è firmato See.a 

Dietro il nome d’arte, che affonda le radici in Israele, la voce di Fabian Heidegger. L’ex-surfistacaldarese ha appena messo online un “energetico” brano in chiave modern roots. «A breve seguiranno altri cinque pezzi, anzi “Hold On” arriverà già questa settimana»


Daniela Mimmi


Bolzano. Giovane promessa (e realtà) del wind surf italiano, con la partecipazione ai campionati del mondo a Cascais in Portogallo e ai Giochi Olimpici di Pechino nel 2008, a 24 anni Fabian Heidegger ha deciso di appendere la tavola al muro, per inseguire i suoi sogni: la musica, i viaggi, gli altri. Ha viaggiato in più di 30 Paesi del mondo, ha preso parte a diversi progetti umanitari, ha cantato al più grande Festival Reggae d’Europa “Rototom Sunsplash”, a Benicassin in Spagna. Adesso, a 32 anni, ha deciso che l’onda che vuole cavalcare è quella della musica. Ha cominciato la nuova vita con un nuovo nome, See.a e ha appena messo online un video realizzato da Kahn Arif e un singolo di chiara impronta reggae, cantato in inglese, “Better Must Come”, un potente distillato del cosiddetto Modern Roots, con un forte appello al cambiamento, registrato tra Bolzano, Trento e Verona insieme al mio produttore, Marco Gandini e Mauro Iseppi. Con lui suonano Davide Dalpiaz alle tastiere, Mirko Giocondo al basso, Federico Groff alle tastiere, Pietro Berlanda al flauto e tastiere, Tiziana Battisti e Nancy Travaglini ai cori. A breve seguiranno altri cinque pezzi tra cui “Hold On“, che sarà online questa settimana, un messaggio di speranza, come lo definisce lui. “Broken Boat“ uscirà invece questo inverno perchè è molto triste e racconta la storia di un viaggio della speranza di un giovane migrante. Originario di Caldaro, compositore, rasta per convinzione, attivista nel politico e nel sociale, Heidegger ha lavorato per tre anni in uno dei più grandi centri di accoglienza per profughi dell’Italia del nord, tanto che è diventato un punto di riferimento per i migranti ed ha assunto spesso la funzione di ponte tra loro e la popolazione locale. Lo abbiamo intervistato.

Come mai la scelta del nome nome See.a?

Ho vissuto alcuni anni in Israele, sia quando facevo agonismo, che dopo. Gerusalemme è una città molto interessante, decisamente multiculturale. Così ho scelto un termine ebraico, selah, che viene riportato 74 volte nella Bibbia. Vuol dire fermarsi a riflettere. Io sono uno che riflette e osserva.

Come è nato Better must come? Il meglio deve ancora arrivare? E’ una sorta di preghiera...

Infatti è una preghiera. L’ho scritta quando lavoravo nel centro di accoglienza di Bolzano. È un grido a Dio: così non va, questa è una situazione terribile, non è sopportabile. È anche un grido di speranza. I ragazzi del centro mi hanno dato l’energia giusta.

Come è nato il suo amore per la musica reggae?

Quando ero piccolo e mio fratello non c’era, io ascoltavo i suoi cd. Così ho scoperto il reggae. Mi affascina per la sua forza trascinante e trasgressiva, e il messaggio universale. Bob Marley è conosciuto e amato in tutto il mondo e in tanti condividono il suo pensiero, voler cambiare il mondo. In casa mia ho sempre ascoltato musica, la musica mi ha sempre accompagnato nei miei tanti viaggi. È stato il mio primo amore.

Che cosa le hanno dato i viaggi del punto di vista musicale e personale?

Mi hanno fatto capire che non c’è gente bianca, nera o gialla. C’è gente, e basta. Che ci sono tante culture e tante lingue e tutte sono degne di essere scoperte. Io parlo tante lingue e ho molta facilità nella comunicazione: per me è stato facile conoscere gente di tutto il mondo. Viaggiare mi ha fatto conoscere la bellezza del mondo e tante storie e in definitiva, quello che racconta la musica, sono storie.

Quali sono i paesi che l’hanno più colpita?

Israele mi ha affascinato, la Nuova Zelanda mi ha colpito per la sua bellezza, il Brasile per la gente rilassata e tranquilla, non frenetica come noi.

E il suo lavoro nei centri per migranti cosa, le ha dato?

Ci sono due esperienze che hanno segnato la mia vita: l’agonismo e la mia attività, prima pagata, adesso volontaria, nei centri di immigrati. Loro mi hanno dato una diversa visione della vita: per loro la cosa più importante è la sopravvivenza. Noi, invece, non ci pensiamo mai. Siamo troppo abituati a dare tutto per scontato, arrivare nella nostra bella casa riscaldata, aprire il frigo e mangiare quello che vogliamo. Il migrante non può decidere il suo futuro, è tutto nelle mani degli altri.

Come mai di colpo, a soli 24 anni e con buoni risultati alle spalle, ha deciso di lasciare la carriera agonistica?

C’erano cose belle come viaggiare, vincere, il successo, gli alberghi di qualità. Ma ero sempre sotto pressione, 8 ore al giorno sulla tavola, e non puoi perdere. Inoltre mi sembrava una vita un po’ inutile, era bello, ma non serviva a niente e non facevo niente per nessuno.

Dove prosegue il suo viaggio, sia musicale che umano?

Adesso cerco di farmi conoscere, ma non solo come musicista. Sono molto attivo su Instagram dove mi si trova digitando seelamusica. Cerco di comunicare soprattutto con i giovani, spero di aiutarli a vivere questa vita meglio possibile, fargli capire che c’è altro oltre ai centri commerciali.

Concerti live?

Quando ce li faranno fare, noi siamo pronti...













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