Cannes, Malick racconta il sacrificio dell’antinazista Jägerstätter
CANNES. Negli ultimi giorni sugli schermi di Cannes è passato anche un po’ di Alto Adige, data la presenza in concorso del film di Terrence Malick “A Hidden Life”, ambientato in Austria ma girato per...
CANNES. Negli ultimi giorni sugli schermi di Cannes è passato anche un po’ di Alto Adige, data la presenza in concorso del film di Terrence Malick “A Hidden Life”, ambientato in Austria ma girato per buona parte in Sudtirolo. Alcune locations - dalle cascate di Tures ai giardini della residenza Hofburg – sono state scelte in ragione della loro bellezza; altre hanno invece il compito di regalare uno sfondo verosimile alla vita del contadino austriaco Franz Jägerstätter ucciso dai nazisti nel 1943, a soli trentasei anni, per essersi rifiutato di combattere nel Terzo Reich. Una storia vera di pacifismo e fede (Jägerstätter era cattolico ed è stato beatificato nel 2007), che Malick ha ripescato dal passato per uno dei suoi consueti film filosofici, eleganti ed ostici, tra narrazione e contemplazione, dove il protagonista diventa simbolo della perduta armonia fra uomo e natura. Nello stesso tempo “A Hidden Life” è anche sintomatico di quanto i film del concorso amino quest’anno volgersi al passato, ora attraverso storie ambientate in epoche passate, ora con personaggi che ricordano la propria giovinezza.
A fare eccezione è l’austriaco “Little Joe” di Jessica Hausner, che invece guarda avanti, al futuro. Anche se, come negli episodi della serie britannica Black Mirror, si tratta di un futuro molto prossimo al nostro presente, quanto basta per mettere in guardia contro i pericoli di una tecnologia sempre più pervasiva. Qui rappresentata da un team di fitopatologi, medici e scienziati delle piante, che inventano un fiore capace di dare la felicità a coloro che lo innaffiano e circondano di attenzioni. Naturalmente le cose - come sempre nella fantascienza distopica - non vanno poi come dovrebbero: il fiore mantiene la promessa, ma la felicità che dispensa assomiglia molto, anzi troppo, ad una compressione dei propri desideri più intimi, in favore di una quieta sottomissione alle esigenze della comunità.
« Little Joe », questo il nomignolo dato al fiore per cercare di umanizzarlo, favorisce insomma l’omologazione sociale a dispetto delle pulsioni individuali, addomesticando le persone nel segno di una serenità più formale che sostanziale. Con questo film, uno dei migliori in concorso, Hausner conferma il proprio talento visivo, che si traduce in una messa in scena di algida eleganza, dove le forme geometriche ed astratte sono il perfetto corrispondente figurativo di un mondo assurdamente votato alla sterilità affettiva. Anche qui, come nel film di Malick, la natura viene corrotta dall’uomo, anche se la corruzione non porta le uniformi grigie dei nazisti ma i camici bianchi degli scienziati.