Della scuola e dell’abitare 

Architettura. L’ultimo numero di “Turris Babel” è interamente dedicato al “Ritorno a scuola” e al grande tema dell’edilizia scolastica Alberto Wintertle: «Soprattutto nei piccoli centri, la scuola ha smesso di essere uno spazio recintato diventando un vero luogo comunitario»


Paolo Campostrini


Bolzano. Di questi tempi, parlando di scuola, si finisce sempre dentro ad un paio di domande. Per dire: domani tornerà ad essere quella di sempre, con le sue lezioni frontali o ciò che è successo quest'anno in qualche modo resterà , producendo nuovi spazi anche mentali oltre che fisici per farne luogo ancora più aperto? Altro interrogativo: basteranno quelle che ci sono, magari con qualche riassetto, o dovremo inventarci edifici, nuove flessibilità e dunque rifare i progetti da cima a fondo? Cose che riguardano il futuro. Il quale è a sua volta terreno infido. Meglio restare sul vago. Perchè se c'è una cosa che questo 2020 ci ha insegnato è la friabilità delle certezze. Ma poi c’è il presente. E in questo caso l’Alto Adige ha molto da dire. Perchè, come è accaduto per le architetture in generale, anche in quelle scolastiche la scuola sudtirolese è stata in grado di produrre elaborazioni teoriche, poi divenute operative, in grado già adesso di prefigurare le possibili riconfigurazioni degli spazi dell'istruzione. Come, per inciso, proprio muovendosi in anticipo dal “frontale” all’”orizzontale” per quanto riguarda la tecnica educativa negli spazi. E magari, come è accaduto soprattutto nel territorio, tra valli e paesi, immaginandoli non più solo capaci di concentrarsi sui loro compiti primari ( le lezioni, l'istruzione) e neppure esclusivamente sui classici fruitori di questi servizi ( gli studenti, i docenti) ma aprendoli alla comunità. Immaginandoli, questi edifici, già in fase progettuale, quali “palazzi pubblici”. Elementi, come accadeva nei Comuni italiani e, in parte, anche europei, del tardo medioevo, di identificazione sociale e urbanistica. Allora il palazzo pubblico veniva disposto, in piazza, tra quello del signore e quello del vescovo ( la chiesa) come presenza laica e civica, oltreché civile. “Nei piccoli centri - ha scritto l’architetto Alberto Winterle - la scuola ha smesso di essere un luogo recintato, segregato, ad uso esclusivo di una parte circoscritta dei suoi abitanti che la frequentano- bambini, genitori, maestri - per diventare invece uno spazio aperto, intrecciato con la vita del paese , quasi l’edificio pubblico per eccellenza della comunità”. Winterle, al vertice del suo ordine, ha organizzato e diretto l’ultimo numero di “Turris Babel”, la rivista-organo della Fondazione architettura altoatesina, tutto dedicato al “Ritorno a scuola”. Il quale resta molto incerto, nonostante le assicurazioni di Provincia e governi in questa fase pandemica ancora acuta, ma che gli architetti intendono anche, più estesamente, come un concetto da applicare allo sviluppo “tout court” dell’edificazione scolastica. Quasi che quello che è accaduto qui negli ultimi venti-trent’anni possa assurgere a paradigma di una riconversione a 360 gradi dei modelli costruttivi dedicati all'istruzione. Un ritorno alle origini della comunicazione del sapere, quando la scuola era luogo aperto e contaminato. Insomma, quando si parla di architettura, sempre più si dovrebbe ormai parlare di scuola altoatesina. Vista la capacità di interpretare e precorrere i tempi nuovi, traducendoli in progetti. Certo, c’è voluta, trattandosi in questo caso di edilizia pubblica, anche la politica. Da qui l’esperienza pluridecennale della Provincia, con le sue strutture, intesa a forzare una accelerazione di stili e di estetiche. “Così che il pubblico - dice ancora Winterle - ha investito energie e risorse per compiere un processo di rinnovamento dell'edilizia scolastica”.

È maturata così la tradizione progettuale altoatesina anche in questo campo. Muovendosi spesso in modo rivoluzionario ma sempre tenendo ben strette le esigenza della funzione, mai divagando in cerca di esperienze solo formali. Punto di svolta è stato l’avvio dei concorsi di progettazione. E questo già all'inizio degli anni ’80. Finendo così per togliere tutto il settore da mani tradizionali e consegnandolo in quelle di professionisti della progettazione. Questo ha indotto anche un impegno legato alla responsabilità etica e civile dell'architetto, passando dalla semplice e autonoma progettazione di edifici privati alla necessità di misurarsi con un'edilizia legate a momenti decisivi nella vita dei giovani cittadini. Altro snodo, tutto interno alla categoria, è stata la volontà quasi comune dei progettisti della “scuola sudtirolese” di assegnare alla scuola anche una funzione urbana. Di allargarne le funzioni. E pure il ruolo dentro le comunità. L’ultimo volume di Turris Babel riporta naturalmente una serie di realizzazioni. Tutte avvenute negli ultimi tempi. Tra queste, quasi un prototipo di questo nuovo modo di intendere la scuola come presenza sociale e comunitaria, la primaria di San Martino in Casies. Elaborata dallo studio Em2, porta ora con se l'idea della scuola territoriale, sia nella scelta dei materiali. il legno, che nella distribuzione degli spazi interni ed esterni (tutti innescati da una più flessibile concezione delle varie fasi di presenza degli studenti) che infine nella collocazione dell’edificio-scuola in connessione con gli altri luoghi pubblici del paese, come la chiesa ad esempio. Enfatizzandone così il ruolo urbano di edificio pubblico. Analizzata anche la realizzazione di Roland Baldi Architects ( la scuola per l’infanzia di Sluderno), le scuole di Sant’Andrea e Rasa ( MoDus Architects, Attia e Scagnol),Il polo di Modus a Bressanone, l’istituto di San Giacomo e Sarentino ( Area di Fregoni e Pauro) e poi via via citando, come una geografia dell’innovazione , i luoghi che punteggiano la nuova cartina geografia dell’edificazione scolastica altoatesina. Il numero di Turris Babel dedicato alla scuola è il 119 , distribuito a 10 euro.













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