IL LIBRO

Il corpo come reato e l’“indecente moralità” 

Lo storico Giuseppe La Greca racconta in un libro vivace e divertente gli anni ’70.  Le “battaglie” surreali di giudici e pretori contro topless, tanga e nudo. Da Bolzano alla Sicilia


Paolo Campostrini


Bolzano. Era stato un anno caldo il 1977 a Bolzano. A tal punto che, come capita ancor’oggi in simili circostanze, Eroswitha Sostar, 22 anni, ballerina austriaca che lavorava lì vicino, in un night in cui si infilavano la sera decine e decine di bolzanini e no, aveva deciso di mettersi al sole. Steso un plaid sull’erba si era “gradualmente” spogliata. Poca cosa, se visto l’evento con gli occhi di oggi. E invece no. A distanza, una signora la stava osservando: telefonata ai carabinieri, intervento, denuncia. Qualche tempo dopo la sentenza: ammenda di 40 mila lire. Ma Bolzano non era tutta così. L’anno prima, un pretore, giudicando del caso di due turisti tedeschi che si erano esposti al sole in una abbronzatura integrale, aveva sentenziato che al sole tutti nudi non è reato. Nello specifico era andato oltre. E aveva scritto: “Solo una persona dagli istinti lascivi può lasciarsi turbare dalla visione di due giovani - uomo e donna- in costume rigorosamente adamitico”.

Quel pretore era Vincenzo Luzzi. Il quale li assolse poi con formula piena. Anche qui, ecco la questione, si stava vivendo quella stagione di passaggio che stava conducendo l’intero Paese da guardare il mondo - e soprattutto le donne - dal buco della serratura a mettersi invece il cuore in pace, accettando che le cose stessero cambiando.

E che il “comune senso del pudore” stava diventando flessibile, muovendosi e cambiando pelle come anche il resto d’Italia, sulla spinta di un ‘68 che aveva già scalfito vecchi equilibri tra testa e cuore. Tuttavia, discussioni aperte o chiuse che fossero, erano sempre le donne al centro di questa transizione. Sempre loro e i loro corpi. Come se l’universo femminile si fosse trasformato in un campo di battaglia sul quale leggi e norme, allora rigorosamente maschili, sguardi e immagini avessero deciso di combattere l’ultima sfida alla modernità. «Ma erano purtroppo quasi sempre altre donne che le denunciavano» ammette Giuseppe La Greca. Lui, storico di Lipari, testimone in prima persona su quelle spiagge di episodi di tal fatta, ha scritto un libro. Si intitola “Il corpo come reato” (L’Onda), il quale gioca ma non troppo sull’elemento giudiziario del corpo del reato facendogli assumere le sembianze tout court del corpo delle donne, trascinate dietro le sbarre e alle quali si chiedeva di giustificare il semplice loro desiderio di libertà.

Si apre con una prefazione di Lidia Ravera il volume. Lei è l’autrice di un libro che fece epoca: “Porci con le ali”. E fu una delle vittime di quella censura beghina. Giovanni Di Matteo, procuratore a Roma, la condannò, lei e il libro, per oscenità. Spiegò: “Nel tentativo di evitare il corrompimento della moralità, della legalità, che costituisce un pericolo per i nostri figli”.

Giuseppe La Greca, che Italia era?

Innanzitutto non era poi così distante da quella di oggi. Si parla degli anni Settanta, non della prima guerra.

E che accadeva?

Che nei tribunali lavorava ancora una generazione di giudici che si era formata in una cultura repressiva. Ma che cominciava a essere minacciata da una nuova generazione di magistrati che avvertivano l’aria del ‘68. Ci si apriva ad una nuova sensibilità, l’Italia iniziava a globalizzarsi, entravano nuove mode dal mondo anglosassone.

Come la minigonna?

Anche. Nel ‘71 sulla Stampa di Torino Carlo Casalegno scriveva a proposito di una sentenza siciliana in tema: “Il pretore palermitano non è ne il primo ne il solo a pensare che la sanità morale della stirpe italica debba essere difesa con una crociata contro la minigonna”.

Quel pretore era in buona compagnia?

Più che buona: numerosa. Ma già stava emergendo quello scontro generazionale sia all’interno della magistratura che della politica che consentì poi al Paese di evolversi nel senso della tolleranza.

Ma il libro racconta che il percorso fu lungo e accidentato. E non toccò solo l’atteggiamento comune ma anche la cultura, il teatro…

Avvenne proprio questo. E gli episodi di cruda intolleranza toccarono anche personaggi famosi.

Tra cui?

Penso a Minnie Minoprio. La ballerina e attrice era diventata famosa per infinite apparizioni in ti e sui giornali. Nel ‘79, il 3 settembre, fece uno spettacolo a cava dei Tirreni. Ebbene fu posta al centro di infuocate polemiche perché, si chiedevano i giornali “Era proprio nuda o indossava una attillati sisma calzamaglia color carne quando si è esibita sulla piazza del vescovado durante i festeggiamenti per la ricorrenza della patrona Madonna dell’Olmo?”. Da lì giorni e giorni di polemiche. Ci fu una delegazione ricevuta dal vescovo stesso che assicurò che non era vestita ma nuda al naturale. Si era così.

Dunque anche il teatro non venne risparmiato?

Assolutamente no. Nel ‘54 una giovane ballerina napoletana subì due gradi di giudizio perché, essendole saltata una spallina, risultò per non più di venti secondi con un seno nudo. Vennero arrestati gli attori anche di uno spettacolo di Dacia Mariani, mentre nel ‘72 a Genova, Manuela Kustermann, grande e raffinata attrice, passò i suoi guai per aver interpretato un testo greco discinta.

Non fu la sola naturalmente…

Finì male anche un lavoro di Paolo Ferrari a causa di una scena in cui gli attori finivano a letto in tre. Era una commedia brillante, basata sul classico triangolo moglie, marito e amante ma il fatto di vederli lì, sotto le lenzuola, insieme, era evidentemente motivo di scandalo.

Per non parlare del topless. Anche in quel caso ci furono conseguenze?

Ovunque. Ma ormai si stava andando nella direzione anche del gioco. Ci furono località balneari che si misero in gara per ottenere il primato del primo topless, pur col rischio di finire denunciati. Ad Alassio, la ricerca del primato provocò polemiche anche su altri piani. I giornali denunciarono il fatto che a Claudine, una ragazza immortalata col primo seno nudo sul lungomare, erano stati offerti dei soldi per farsi fotografare così, e tagliare per primi il traguardo.

Ci si chiede: perchè tutto questo accanimento?

Una morale profondamente maschilista di fondo. E poi un Paese legato alla tradizione e alla Chiesa. Molto presente ovunque. E molto ascoltata sulle questioni della morale pubblica. Col risultato che lo Stato spendeva milioni per gettarsi in processi contro il bikini invece che destinarli a reati ben più gravi e invasivi.

Lei è di Lipari, Eolie, località tra le più frequentate dal turismo estivo. Cosa accadeva in quegli anni turbinosi sul piano del costume e dei costumi da spiaggia?

Episodi contrapposti. Ad un pretore, che giunse sull’isola con idee nuove negli anni ‘70 aprendo alla rinnovata percezione della morale si contrapponeva un altro magistrato, Vincenzo Salmeri.

E lui che fece?

Beh, era talmente ossessionato dal nudo che avviò una campagna giudiziaria contro i negozi le cui vetrine esponevano dei manichini nudi. Di uomo o donna che fossero. Ma manichini, non vivi….

E come andò a finire?

In farsa. Nel ’79 Salmeri venne invitato da Costanzo in tv al talk show “Acquario”. Quella sera c’era anche Ilona Staller: per tutta la puntata continuò a chiamarlo Cicciolino...

La nemesi.

La nemesi...

©RIPRODUZIONE RISERVATA.













Altre notizie

Attualità