«Il mio Arlecchino? Un demone depresso» 

Intervista a Natalino Balasso. L’attore in scena con il Tsb il 25 a Merano e il 26 a Bolzano «In questo Goldoni ci sono i nuovi poveri, i rapporti sociali sbagliati, i disperati, gli immigrati»


Daniela Mimmi


Bolzano. Non avrà la maschera, ma il viso simpatico e il sorriso aperto di Natalino Balasso, l’Arlecchino firmato Binasco che il Teatro Stabile di Bolzano porta al Teatro Puccini di Merano martedì 25 febbraio alle 20.30 e mercoledì 26 febbraio alle 21 al Teatro Cristallo di Bolzano, nell’ambito della stagione Inscena. Questo “Arlecchino servitore di due padroni” di Goldoni sarà una cosa completamente diversa, senza maschere ma con personaggi reali, che guarda più alla commedia all’italiana che alla commedia dell’arte. Chiediamo a Natalino Balasso, che sarà in scena con un nutrito cast formato da Fabrizio Contri, Michele Di Mauro, Lucio De Francesco, Denis Fasolo, Elena Gigliotti, Carolina Leporatti, Gianmaria Martini, Elisabetta Mazzullo e Ivan Zerbinati, com’è questo Arlecchino firmato Binasco. «Binasco ha esplorato un territorio originale. “Arlecchino servo di due padroni” era già stato messo in scena da Strehler e sarebbe stato difficile fare meglio. Non c’era altra strada da percorrere che cambiare tutto. Strehler aveva già tolto le maschere, ne aveva fatto un ibrido. Binasco si avvicina di più a Goldoni: toglie i lazzi e ne fa una commedia corale, restituendo la trama, la storia, i personaggi. I personaggi sono più profondi e sfaccettati, come nella Commedia all’Italiana».

E il suo personaggio?

Il mio Arlecchino è un depresso che cerca di fare due lavori per mangiare di più. È goffo e non certo acrobatico. Ma è anche un demone, è malefico, tiene lontani i due amanti. Con Binasco diventa tutto reale. Ci sono i sentimenti reali e ci si commuove.

È la metafora della nostra epoca?

No, Goldoni era molto più moderno di noi. Noi stiamo tornando indietro di due secoli. Basta pensare ai rapporti di dominanza tra le persone, al maschilismo dilagante. Ci sono i nuovi servi sottopagati, ci sono i nuovi poveri, i disperati, gli immigrati. Ci sono i rapporti sbagliati tra padri e figli, tra servi e padroni, tra gli uomini e le donne. E i vecchi che non lasciano spazio ai giovani. C’è una bella frase in questa commedia, scritta da Goldoni: “Se una donna tradisce, tutti ne parlano. Se tradisce un uomo nessuno dice niente, perchè le leggi sono state scritte dagli uomini”.

Com’è la vostra Venezia?

La scenografia è sottile, aerea. Ci sono dei veli e dei teli che danno l’idea di muri scalfiti. Ci sono porte senza i muri e sembra di stare in tre stanze contemporaneamente. È un teatro naturalistico scolorito, il teatro di una volta. Anche se è un teatro contemporaneo e cinematografico.

Cos’è cambiato dal 1745, anno in cui Goldoni composte questa commedia ad oggi?

Goldoni ha portato il teatro fuori dal Teatro dell’Arte. Adesso il teatro ha altri mezzi, si è arricchito dell’esperienza del cinema e della televisione. La società, come dicevo prima, è cambiata poco, anzi è tornata indietro.

Perchè piace ancora questa commedia?

Piace a chi non ha visto quella di Strehler, ma anche a chi ha visto quella, perchè è tutta un’altra cosa. Piace perchè è stata imboccata una strada nuova. Piace perchè fa divertire e commuovere. E poi è esteticamente bella.

Questa commedia fa ridere, ma fa anche riflettere. Su che cosa?

Già è grandioso che la gente a teatro pensi! Fa riflettere sul fatto che sia attuale una cosa scritta secoli fa e che poco sia cambiato, i rapporti siano sempre gli stessi. E che ci sia ancora fame come allora. La nostra di adesso è una fame compulsiva, si mangia tropo per paura di restare senza cibo. Basta vedere quanta obesità c’è nelle fasce meno abbienti delle nostre società”.













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