«Kurz? È il leader di una generazione senza memoria» 

Intervista a Roberto Farneti. Il docente di Teoria Politica della Lub a ruota libera sulla crisi Ue  «Questi giovani sovranisti hanno un immaginario senza eroi, l’Europa non sanno cosa sia»  La frattura tra Paesi “rigoristi” e Paesi mediterranei «segna il fallimento dei padri fondatori»


Mauro Fattor


Bolzano. L’emergenza Coronavirus rischia di creare in Europa una profonda linea di frattura: da una parte la “Nuova Lega Anseatica” con l’aggiunta dell’Austria, i cosiddetti Paesi rigoristi, dall’altra i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, i più colpiti dalla pandemia. In mezzo la Germania, stretta tra due spinte uguali e contrarie e impegnata con la Francia in un difficile ruolo di mediazione. Ne abbiamo parlato con Roberto Farneti, docente di Politica comparata e Teoria politica all’Università di Bolzano.

Lo scontro sul Recovery fund si profila, da un certo punto di vista, come il redde rationem del progetto europeo. Non è solo la questione dei soldi, è che dalle macerie del Coronavirus emergono ancora una volta, come già era accaduto con l’emergenza migranti del 2015, due se non tre idee diverse di Europa. E i nodi vengono al pettine....

Guardi, i profili tecnici della questione, lo scontro sui soldi e i rapporti tra i poteri dentro l’Europa, sono cose di cui leggiamo ogni giorno, vorrei fare una riflessione diversa, che ciò a cui assistiamo è l’avanzare di una linea di frattura generazionale, sono paesi guidati da leader giovani, con l’eccezione della Svezia di Lofven, ma Lofven è un primo ministro che gioca una partita di retroguardia su un campo dove le forze sono altre, in cui gli attori sono anagraficamente molto giovani, se pensi ai grandi emergenti delle ultime elezioni, l’estrema destra di Akesson e i cristiano-democratici della giovane Busch (pressoché coetanea di Sebastian Kurz), in un paese in cui, vado a memoria, il primo ministro non ha mai meno di quarant’anni. Austria e Danimarca sono casi esemplari dell’evidenziarsi di quella frattura, dove abbiamo, e questo è il dato più significativo, i due capi di governo più giovani della storia dei rispettivi paesi. Poi i Paesi Bassi di Rutte, che non è né vecchio né giovane, è come il puer vetulus di Petronio, in una posizione infelice, incalzato a destra dai nazionalisti, che in questo contesto sembra un eufemismo, di Geert Wilders… Al di là del colore politico (la ministra danese dello stato è socialdemocratica) quello che emerge è il gioco delle parti di una giovane generazione di leader che anche quando non ha il sovranismo come stella polare, ha un’agenda politica fortemente condizionata da quella stella. Che non sarebbe una tragedia, se non fosse per un dettaglio, che si tratta di una stella giovane, e si tratta di un linguaggio, quello di questa giovane generazione di leader, che condiziona a fondo la politica di questi paesi (e non solo di questi paesi) e che ci rivela un elemento di fondamentale importanza: si tratta di leader privi di una memoria europea, che hanno socializzato dentro un’idea di Europa che non si è mai trasformata in un immaginario. Il recovery plan del dopoguerra e poi i trattati degli anni Cinquanta sono stati il vissuto di una generazione di leader europei ed europeisti che non c’è più, una generazione che ha lasciato in eredità un’idea debole di Europa. Il vissuto di questa nuova generazione è diverso, a parte l’Erasmus e la frenesia dei primi anni 2000 ad allargare l’Unione, non ricorda nulla di veramente grande e il racconto che hanno ereditato dai precursori, i rispettivi padri del progetto Europeo, non ha grande forza.

Per trovare un contributo austriaco alla costruzione di un'identità europea bisogna tornare fino a Kreisky, un socialista. Da allora Vienna è sempre stata un nano politico. Oggi il popolare Kurz ambisce al ruolo di capofila dei rigoristi, flirtando con posizioni neo-nazionaliste lontanissime dal sentimento europeista dei padri fondatori. Che gioco sta giocando il cancelliere e con quali obiettivi?

Io penso che Kurz sia un sintomo, perché è impossibile trattarlo diversamente, nel senso che non puoi cercare di capire il senso della sua presenza nella politica austriaca provando a decifrarne il linguaggio, capire insomma da dove arriva, se è l’esito necessario di una storia… non c’è nulla prima di Kurz da cui lui sembri derivare, per questo lo ritengo un sintomo, il sintomo di quella frattura politica e generazionale che si è aperta in Europa in questi anni: mi spiego, così cerco anche di chiarire quello che ho detto prima, questa nuova generazione non solo non ha memoria di nulla, ma la sua forza deriva proprio da questo, che la memoria, specie la memoria di quella formidabile resurrezione storica che l’Europa ha attraversato nel dopoguerra, non è più un riferimento e un faro… insomma, mai come in questo momento storico, in Europa, la tradizione, l’esperienza comune, un retaggio genuinamente europeo, un retaggio esemplare, sconta la propria irrilevanza, per cui lei capisce che non è un continente per vecchi, perché i vecchi sono quella cosa lì, quella cosa inutile…

Dunque, un contenitore svuotato in preda alla retorica sovranista?

Guardi, anche la retorica sovranista… ma la retorica sovranista di Milosevic, alla fine degli anni Ottanta — quando il nazionalismo era una cosa seria — era una cosa mostruosa e farsesca, ma non era priva di un’epica, se si pensa alla funzione del passato nella costruzione di un discorso nazionalista, la figura dell’eroe, l’idea di un nemico storico… i sovranisti di oggi sono solo farseschi, vogliono chiudere i confini ma il loro discorso è privo di epica, il loro è un immaginario senza eroi, la loro nazione è un luogo inaccessibile, ma è un luogo senza storia, è uno spazio sterile in cui si conoscono tutti ma nessuno sa di avere un passato alle spalle. Il sovranismo è una malattia antica, ma i sovranisti di una volta avevano almeno un’idea di nazione, avevano quello che un viennese di rilievo, Freud, chiamava un “romanzo familiare”. Oggi non c’è nulla di tutto questo.

Parlare dei 27 Paesi dell'Unione Europea significa parlare di 446 milioni di abitanti. Austria, Olanda, Svezia e Danimarca insieme arrivano a malapena a 40 milioni, meno di un decimo del totale. Eppure sono in grado di mettersi di traverso. Nelle situazioni a forte polarizzazione, come quella che stiamo vivendo, emerge tutta l'inadeguatezza dei meccanismi decisionali dell’ Europa. Come se ne esce?

La forza di quei quattro paesi sta proprio in questo, nella semplicità del loro messaggio, nel fatto che gli altri, gli europeisti, non hanno un contro-messaggio. Come dicevo prima, i padri dell’Europa hanno firmato infiniti trattati ma la loro azione non ha generato un immaginario, che è la premessa di quella cosa usurata nel discorso politico che chiamiamo identità. Lo ha detto in un’intervista radiofonica di qualche settimana fa Nicola Piovani, che se si fosse costruita un’orchestra europea, o delle compagnie di teatro europee, forse oggi le fondamenta dell’Europa sarebbero più solide, se non altro perché anche Kurz avrebbe qualcosa da ricordare, un’idea di Europa in cui identificarsi e la rete di giovani smemorati che lui sta provando a guidare avrebbe forse meno forza. E poi si deve tener conto di come l’Europa abbia esautorati i padri nobili, i portatori accreditati di una memoria storica. L’unico grande vecchio è Habermas, ma il suo peso nel discorso pubblico è irrilevante, l’ultima uscita che si ricordi è quando si augurò la vittoria di AfD nelle elezioni politiche in Germania del 2013. Molti di noi hanno sulle spalle abbastanza anni per ricordare un’Italia, e un’Europa, in cui i vecchi, i padri, erano come gli oracoli nel mondo greco, latori di messaggi e insegnamenti. In Italia ai padri nobili, a figure come Bobbio per intenderci, si sono sostituiti un infinito numero di opinionisti di molto più bassa caratura. Lo stesso vale per l’Austria, penso a Thomas Bernhard, un autore di cui l’Austria avrebbe ancora un gran bisogno ma che non può avere cittadinanza nell’Austria di Kurz, che è un paese in cui il discorso politico si è semplificato fino a un punto forse di non ritorno, per cui non mi sorprende che Bernhard manchi dal programma del Volkstheater dal 2015. Del resto provi a chiedersi come possa essere possibile fare il politico in Austria, con alle spalle un censore gigantesco come Bernhard, è molto meglio rimuovere tutto, dimenticare il proprio pantheon, che in Austria è immenso, e vivere, come scriveva Nietzsche, “attaccato al piolo dell’istante”. Come Kurz. Si capisce allora che i bambini, e i politici bambini, abbiano un vantaggio competitivo in un mondo siffatto, dove la memoria è il vero problema. E mi viene in mente un’intervista di Milan Kundera di venti anni fa, in cui descriveva “l’infantocrazia e l’infantolatria che illuminano con il loro sciocco sorriso la freddezza dell’età della tecnica”. Chiedo scusa se continuo a spostare il discorso su un altro livello, ma i meccanismi decisionali di cui lei parla sono paralizzati da problemi che stanno a monte e che sto provando a chiarire…

In molte cancellerie si continua a sottolineare che stavolta o si fa davvero l'Europa oppure è finita. Troppa enfasi?

Anche qui ahimè non so rispondere, almeno non voglio rispondere sul livello tecnico, le confesso che quel livello mi interessa meno… è vero che l’Europa ha preso forma su iniziativa di altri, lo European Recovery Plan del dopoguerra, che è la madre di tutti i recovery plan, è un provvedimento che aveva diviso il congresso americano, che poi aveva votato con lungimiranza questo progetto di stabilizzazione dell’Europa. Dunque, il rischio che corriamo è che la storia che stiamo vivendo possa confermare l’idea che l’Europa esiste solo quando il cemento che la tiene unita viene da fuori, non è un’iniziativa europea. Quindi, per rispondere, io credo che si possa anche superare questa crisi, che ci possa essere nelle elargizioni da parte dell’Europa, in questo bazooka osteggiato dai giovani, quella gratuità che è la premessa di un’unità politica, ma non credo che questo sia l’ultimo guado, perché senza un racconto capace di rappresentare quest’esperienza collettiva che chiamiamo Europa, non si va da nessuna parte. E forse potrebbe servire guardare all’America, un continente che nel 1865 usciva dalla guerra civile profondamente diviso e che dopo 80 anni aveva un’industria cinematografica capace di generare immaginario, aveva l’NBA, l’espressionismo astratto, la musica rock, i Walt Disney Studios, Frank Capra, e non c’era niente di questo dopo la guerra civile. L’America come la conosciamo si è costruita su quelle basi, nel tempo, senza trattati, solo qualche emendamento alla costituzione…













Altre notizie

Attualità