«L’emigrazione diventa una nuova realtà sociale» 

Intervista a Edith Pichler. Nata a Bolzano, è docente di Scienze Sociali all’ateneo di Postdam «Dimenticatevi l’emigrante anni ’60. Oggi in Europa la mobilità interna ha altri presupposti»


Giorgio Dal Bosco


Trento. Edith Pichler è nata a Bolzano. Nelle sue vene, però, per via materna scorre sangue misto trentino: il nonno era un Moser di Cavedine e la mamma una Fanti di Marcena. Dunque, almeno a metà, Edith è “trentina”. Ha studiato all’ Otto-Shur Institut della Freie Universität di Berlino conseguendo il Ph.D. (Dr.Phil.) in Scienze Politiche e l’Abilitazione Scientifica Nazionale come Professore Associato per Sociologia dei processi economici e del lavoro. Ha insegnato alla Humboldtät di Berlino ed è stata Visiting Professor all'Università La Sapienza di Roma. Dal 2011 è docente presso l’Istituto di Economia e Scienze Sociali dell'Università di Potsdam e ricercatrice Associata del Centre for Citizenship, Social Pluralism and Religious Diversity Università di Potsdam. É membro del Rat für Migration, organo che raccoglie in Germania i maggiori studiosi sulla tematiche della migrazione. É Book rewiew editor di «Altreitalie. Rivista internazionale di studi sulle migrazioni italiane nel mondo» del Centro Altreitalie di Torino e collabora con la fondazione Migrantes per il Rapporto Italiani nel Mondo”. A fine del prossimo marzo sarà la relatrice del convegno a Roma organizzato dalla Accademia dei Lincei, dal titolo “Le migrazioni degli italiani: adattamento alla crisi o nuova emigrazione”. Insomma, la professoressa Edith Pichler è una studiosa di uno dei fenomeni sociali più importanti dalla rivoluzione industriale ai tempi nostri: emigrazione e immigrazione e, dunque, mercato del lavoro. Temi, questi, che la docente universitaria ha analizzato fin dalle loro radici scrivendo numerosi fior di trattati su prestigiose riviste. In questi giorni si muoveva tra Trento e Bolzano. L’abbiamo intervistata.

Quando è nato in lei l’ interesse scientifico del fenomeno migratorio?

Durante gli studi ho avuto per due semestri come professore Peter Kammerer che insegnava all’ Università di Urbino e fra le sue materie c'era anche l’aspetto della emigrazione. Di lì...

C’è una peculiarità, rispetto alle altre popolazioni regionali, nei migranti trentini in Germania?

I trentini arrivati in Germania negli anni ’50 e ’60 erano forse più preparati professionalmente. Molti erano artigiani che hanno trovato impiego in piccole e medie imprese o aziende in cui potevano sfruttare la loro preparazione. In altre parole: non hanno trovato impiego nelle grandi industrie nei settori più bassi della produzione. Non dimentichiamo che molti impiegati (insegnanti o dirigenti di Uffici Scuola dei vari consolati e per un certo periodo gli assistenti sociali della Caritas operanti tra gli emigrati italiani) erano di origine trentina. Anche oggi una dirigente della Caritas di Monaco proviene da una famiglia della Val di Sole.

Forse che questa presenza trentina era facilitata da una vicinanza geografica?

No, l’inserimento era facilitato dalla “distanza culturale” non così marcata come per altre popolazioni regionali, specialmente per chi si insediava nelle regioni cattoliche del Sud della Germania con le Alpi vicine.

Il fenomeno migrazione aumenterà? Si stabilizzerà? Si ridurrà?

Credo che si normalizzerà perché a differenza del passato oggi non assistiamo più alle convenzionali forme di emigrazione, immigrazione e reimmigrazione tra i Paesi. Se “ieri” migrare era inteso secondo il modello “container nazionale”, passaggio, cioé, tra un container e un altro, “oggi” le nuove forme di mobilità e di soggiorno fanno sì che questi contanier siano più permeabili. La migrazione è concepita da un numero sempre maggiore di persone come una condizione permanente e come una nuova realtà sociale. Se esistono delle possibilità migliori ci si sposta in altri Paesi europei. Inizialmente, come nel caso di tanti giovani comunitari, si è trattato di una forma di “nuova mobilità europea”, favorita dal processo di integrazione anche attraverso Erasmus. Con la crisi finanziaria del 2008 è iniziata una nuova fase di migrazione interna dettata questa volta anche da condizioni di necessità e bisogno.

Il sovranismo sarà debellato o troverà nuova linfa?

Sovranisti sono quelli che stanno a casa anche se poi si muovono ed usano sistemi di comunicazione che non sono per niente di origine sovranista perché made in Italy. Ma, per esempio - giusto per restare al Trentino - Alto Adige - Lagrein e Marlene o Trentingrana e Teroldego non sono sovranisti. Varcano i confini, viaggiano e vanno a finire su piatti stranieri.

Come è considerato attualmente il migrante italiano?

L’analisi storica sarebbe molto articolata e allora si può sintetizzare: si potrebbe dire che negli ultimi decenni stiamo assistendo ad uno slittamento semantico in senso positivo di stereotipi e pregiudizi del passato. Gli “Spaghettifresser” (i mangiaspaghetti) sono diventati i portatori di un lifestyle da copiare.

C’è il rischio di una riproposizione del nazifascismo in Europa?

Spero di no, e spero che l’insegnamento che ci ha lasciato un grande politico europeo come De Gasperi ci abbia immunizzato per sempre contro nazifascismo e stalinismo. Certo, serve una continua riflessione e momenti di “remembrance” europei per rimarcare una memoria europea comune e condivisa su valori come libertà, solidarietà, diritti civili, senso civico, umanità eccetera, valori che sono parte della identità europea.

Cervello e cuore “europei” cosa prevedono?

La mia è una speranza. Spero si continui sulla via della integrazione europea e che gli abitanti di questa regione, che ha in sé i germogli di un’identità plurilingue ed europea, diventino gli attori ed i protagonisti della Nazione Europa.

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