La rivolta di Tiananmen «Vi racconto quei giorni»
Storia e memoria. Ilaria Maria Sala, autrice di “Pechino 1989”, lunedì sarà alla Ubik di Bolzano «Rivedo sempre gli sguardi pieni di ottimismo e di speranza di chi marciava nei cortei»
Bolzano. «L’inverno del 1988-89 fu un periodo di straordinaria apertura per la Cina. Nell’aria si respirava un fermento sociale, politico e culturale che dava a molti l’illusione di avere davanti infinite possibilità. I giornali e le riviste erano più interessanti che mai, le librerie erano piene zeppe di traduzioni, tutti erano affamati di informazioni su ciò che accadeva all’estero. All’epoca tutto sembrava possibile. L’astrofisico Fang Lizhi aveva inaugurato degli incontri letterari e di dibattito tenuti per lo più all’aperto nei campus delle università. Vi partecipavano molti degli studenti che avrebbero poi preso parte alle manifestazioni di Tiananmen.» Ricorda con queste parole Ilaria Maria Sala, scrittrice e giornalista, nel suo libro “Pechino 1989” (ed. Una Città), i tragici avvenimenti che ebbero luogo a Pechino (non solo in piazza Tiananmen), trent’anni fa, durante il suo soggiorno da studentessa universitaria, quando fu diretta testimone delle proteste degli studenti violentemente represse dal governo cinese.
Ci ricorda come iniziò tutto?
Il 17 aprile intorno alle 11 cominciammo a sentire una folla in strada che scandiva slogan davanti ai cancelli della nostra università. Questi studenti, a piedi e in bicicletta, provenienti da altri campus invitavano i giovani di Beishida, la Normale di Pechino dove studiavo, a unirsi a loro per andare a manifestare a Tiananmen. Volevano esprimere la loro commozione per la morte di Hu Yaobang, avvenuta due giorni prima. Hu Yaobang, morto a 74 anni di infarto, era stato il primo “delfino” di Deng Xiaoping e nel 1982 era stato nominato segretario generale del Partito comunista. Era considerato un uomo di ampie vedute, favorevole anche ad alcune riforme politiche. Nell’atmosfera dell’epoca, in cui in tanti s’interrogavano sull’arretratezza cinese, era noto per preferire forchetta e coltello alle bacchette e in pubblico lo si vedeva sempre vestito all’occidentale, non con la giacca alla Mao. Caduto in disgrazia per aver lasciato spazio alle manifestazioni studentesche dell’inverno 1986-’87, Hu era stato sollevato da tutti gli incarichi e, poco dopo, allontanato dai corridoi del potere. Gli studenti volevano cogliere l’occasione per esprimere la loro ammirazione nei suoi confronti e, al contempo, la loro disapprovazione verso i leader al potere.
Temevate il tragico epilogo?
Ogni volta che ricordo quei giorni, rivedo gli sguardi pieni di ottimismo e di speranza di chi marciava nei cortei, di chi pedalava per raggiungere gli altri, convinto di partecipare alla lotta per un futuro diverso, più aperto, per la Cina tutta. Sguardi che non ho mai più rivisto a Pechino.
Ben presto però la reazione dell’esercito si fece più dura.
Il 3 giugno fummo svegliati dagli spari. Corsi per strada a vedere. C’erano giovani sporchi di sangue su un autobus, alcuni forse erano morti. Lungo le strade le persone avevano cominciato a costruire le barricate con quello che trovavano. In lontananza si distinguevano colonne di fumo nero provocate da falò accesi dai pechinesi più infuriati, che si erano messi a bruciare quei vestiti militari che tutti indossavano. Incamminandomi per tornare all’università, mi fermavo a parlare coi negozianti del quartiere dai quali mi servivo tutto l’anno, per cercare conforto nei loro volti noti e adulti. Un passante mi offrì una fascia nera di cotone, che stavano già portando in molti. La misi al braccio, fissandola con una spilla da balia. Continuavamo a sentire spari che si avvicinavano. Il giorno dopo venni portata in un albergo dove l’ambasciata italiana aveva affittato delle camere per mettere al sicuro i connazionali. Dopo alcuni giorni arrivai in Italia. Avevo ancora la fascia nera al braccio.
Il libro di Ilaria Maria Sala, che oggi vive a Hong Kong, sarà presentato domani, 17 giugno, alle ore 18, presso libreria Ubik di via Grappoli, a Bolzano. Dialogherà con l’autrice Simonetta Nardin, esperta di questioni internazionali. Organizza la Fondazione Alexander Langer che nel 1999 assegnò il Premio internazionale Alexander Langer ai coniugi cinesi Ding Zilin e Jang Peikun, professori di filosofia all'Università del Popolo di Pechino e membri del Partito comunista cinese. Avevano un unico figlio di diciassette anni, Jang Jelian, che partecipò attivamente al grande movimento di protesta. La sera del 3 giugno uscì di casa e verso le undici fu ucciso nei pressi della Piazza Tienanmen da un colpo di arma da fuoco sparato da un soldato. Fu una delle prime vittime di quella notte orrenda. Dieci anni dopo, Ding Zilin e Jang Peikun decisero di dedicarsi a un’ opera pietosa e tenace di ricostruzione di quanto era accaduto, riuscendo a rendere pubbliche 155 storie di morti nel grande massacro e alcune decine di storie di vivi che portano tuttora nella loro carne e nella loro sfortuna quotidiana il segno di quella notte.
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