Morlot: «La musica ci fa esprimere senza parole» 

L’intervista. È il direttore della National Youth Orchestra of China che stasera suona a Bolzano «È affascinante cercare di portare i giovani strumentisti cinesi a un certo grado di ascolto»


gervasio simoni


Bolzano. Ludovic Morlot è direttore musicale della Seattle Symphony Orchestra dal 2011. Alla nascita della National Youth Orchestra of China, in concerto stasera alle ore 20.30 al Teatro Comunale di piazza Verdi a Bolzano, è stato scelto per dirigere la nuova formazione con cui ha debuttato due anni fa in Cina e in un concerto a New York. Quest’anno li guida nel loro primissimo tour europeo, del quale Bolzano è l’unica data italiana, con un programma che apre con un brano di un compositore cinese contemporaneo per poi tuffarsi a capofitto nella musica classica occidentale con Beethoven e Shostakovich. Ne parliamo con lui.

Esistono molti pregiudizi sui musicisti asiatici. Qual è la sua esperienza con questi giovani orchestrali?

«È un processo affascinante cercare di portare i giovani strumentisti cinesi a un certo grado di ascolto, motivandoli a fare musica insieme, ascoltandosi reciprocamente. È una vera e propria sfida per loro la prima volta, ma questo sforzo li fa crescere enormemente come musicisti e l’orchestra dà loro modo di esplorare diverse possibilità, esprimere le loro emozioni e condividere le proprie esperienze musicali».

Un’esperienza “culturale” anche per lei?

«Mi sento ancora più sicuro nella mia convinzione che la musica sia un potentissimo mezzo per esprimersi anche emozionalmente, senza bisogno di parole. Le barriere create dall’incomprensione linguistica poi permettono di sviluppare maggiormente altri canali, come ad esempio la comunicazione gestuale, o il contatto visivo oppure il canto».

Le riserve latenti nei confronti del “dominio asiatico” nel mondo della classica sono forse meno spiccate nella società multietnica americana rispetto che in Europa?

«Non penso che si possa generalizzare, nel senso che anche in Europa in realtà ogni luogo incarna diverse tradizioni. Direi che in generale il mondo della musica è ovunque solitamente generoso nell’accogliere le differenze culturali e questo si riscontra felicemente nel profilo delle orchestre contemporanee di tutto il mondo».

Con la NYO eseguirete un brano di Ye Xiaogang, la “Tianjin Suite”: è qualcosa di radicalmente contemporaneo?

«No, la Tianjin Suite è un brano molto tradizionale, di cui eseguiremo solo due movimenti. Volevo che il programma iniziasse con delle sonorità che si potessero ricondurre alla Cina, come abbiamo fatto anche due anni fa negli Stati Uniti con un brano di Zhou Long. Ye Xiaogang è stato fin dall’inizio un grande sostenitore e finanziatore dell’orchestra ed è straordinario poter lavorare con un compositore così raffinato dando al contempo la possibilità agli orchestrali di suonare qualcosa che appartiene alla loro tradizione prima di gettarsi a capofitto in Beethoven e Shostakovic».

Garrick Ohlsson, il solista al piano di questo concerto, è un personaggio di cui Bolzano si ricorda, essendo stato il vincitore del Concorso Busoni nel 1966. Qual è il suo apporto da un punto di vista musicale?

«Garrick è sempre un partner musicale molto particolare, e sono sicuro che porterà le sue raffinate qualità cameristiche nel lavoro d’orchestra, qualità che stimo molto e che vorrei che i ragazzi dell’orchestra assorbissero. In particolare in Beethoven credo che Garrick sarà un modello e potrà attivare un importante processo di ascolto, oltre a creare un’atmosfera in cui gli orchestrali potranno davvero sentirsi parte di qualcosa di unico».

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