«Nataly Maier? Riesce a “pensare” la pittura» 

Intervista a Matteo Galbiati. Il curatore e critico d’arte racconta un percorso creativo Le opere dell’artista bavarese fino a domani alla Galleria Antonella Cattani Contemporary Art


Corinna Conci


Bolzano. Fino al 16 ottobre negli spazi della Galleria Antonella Cattani contemporary art (Via Cantinaccio 1/a, Bolzano) è visitabile la mostra personale “Let it flow” di Nataly Maier (Monaco di Baviera,1957). Dopo gli studi in filosofia al Leibniz-Kolleg di Tubinga, l’artista frequenta la scuola di fotografia a Monaco di Baviera. Negli anni ’80 si dedica al superamento bidimensionale del linguaggio fotografico con la realizzazione di foto-sculture. Dal 2002 la sua ricerca si concentra sempre più sulla pittura. Nel suo percorso resta costante il modo di procedere per strutture duali: nei dittici l’artista separa l’immagine dal suo colore impiegando l’antica tecnica della tempera all’uovo. Questa nuova mostra personale si sviluppa sull’interpretazione di un elemento naturale, fortemente simbolico: l’acqua, che nel suo fluire assume le connotazioni di una cascata dissolvendosi nel colore monocromo della tela, quasi a tornare nella sua condizione di calma e immobilità. La pubblicazione del libro “Nataly Maier- Percorsi di pittura 1990 -2020” con testi a cura di Matteo Galbiati accompagna l’esposizione. Il critico d’arte e curatore, ci racconta la sua profonda conoscenza del percorso professionale dell’artista.

Nel lavoro di Nataly Maier affiora un legame particolare con il pensiero, insieme a un’ affinità elettiva con la fotografia che emerge dalla costruzione dell'immagine fondata sulla luce e sull’ombra. Quanto secondo lei gli studi in Filosofia e l’uso della fotografia nei primi anni di lavoro hanno influenzato l'identità artistica di Maier?

La formazione filosofica, lo studio e la pratica fotografica sono stati essenziali e fondamentali per Nataly Maier: tale imprinting formativo, motivato dalla coscienza analitica della diversa sorgente conoscitiva di questi due campi di sapere, che lei ha sempre saputo far convergere in una coerente complementarietà, ha alimentato e forgiato il pensiero dell’artista indirizzandone l’orientamento della ricerca e il carattere della sua pratica nell’arte. La scelta astrattiva della sua pittura, che non si dipana mai per serie consecutive di lavori che segnano tappe ordinate e conseguenti, ma spesso ha necessità di ritornare a trovare verità nuove in cicli precedenti, segue un itinerario fatto di partenze e ritorni, che non sono mai ripensamenti sopraggiunti col tempo, perché hanno il fondamentale desiderio di verificare l’esattezza e la validità dei propri assunti. La filosofia le ha dato gli strumenti per pensare la pittura, la fotografia le ha dato la forza per un riscontro costante con la verità fenomenica delle cose.

Nelle opere dell’artista l’esperienza emozionale più profonda viene “portata fuori”, estratta per imprimersi sulla tela conservandosi “ambiente intimo”, senza una storia ma forte di un impatto sentimentale, offerto in condivisione contemplativa come nella serie Paesaggi...

Una connessione con il “vero”, come per la serie Paesaggi in cui già il titolo sembra limitare gli argomenti della pittura, è sempre mantenuta attiva nella percezione interpretativa delle sue immagini pittoriche, ma, facendo i conti con la composizione astratta, la verità dell’emozione cerca un allontanamento dalla contingenza per maturare il proprio convincimento radicandolo nella profondità dell’animo, nella dimensione più attiva del pensiero e delle idee. La trasfigurazione emotiva ha, quindi, un senso nell’universalità della suggestione libera di chi osserva e, aldilà dell’intenzione originaria voluta e mossa dall’artista, ha modo di innervarsi in orizzonti molto più ampi che arricchiscono e ri-definiscono i contenuti presenti e sommano quelli scoperti come possibili e ugualmente veri.

Il colore per Maier assume un’importanza centrale: dalla sua formulazione, creata dalla stessa artista, fino ad arrivare ad assumere caratteristiche puramente fenomenologiche. Quanti significati porta con sé il colore nella sua pratica?

La cura del colore dà un calore che definirei umano alla pittura di Maier: come nella tradizione è lei a produrlo secondo “ricette” antiche che struttura con l’esperienza personale. Il processo del fare il colore l’avvicina ancor più alla volontà poetica che si genera nell’intuizione; è il tempo a concedere spazio alla meditazione e, tra l’immediatezza dell’istinto e la più lenta riflessione, il quadro si compie come interazione del più forte sentimento umano, che ha eccedenze incidentali, imprecisioni cercate e sente il peso della mano e dello sguardo.

Lei definisce le serie di lavori di Maier come “capitoli aperti” non esauriti, che continuano a fluire, accezione che ci riporta al titolo della mostra Let it flow…

Le serie, o famiglie di opere, non si bloccano o s’interrompono nel cammino esplorativo dell’artista, al contrario, continuano ad alimentarsi, magari anche lasciando decorrere un certo tempo, di nuove proposte. Le diverse tipologie di immagini si accostano una all’altra e non una dopo l’altra, è una scelta che Maier fa con convinzione e non per insicurezza. Sa che non si può chiudere un capitolo di un racconto che continua nel tempo e che nell’esperienza può trovare nuovi spunti per rinnovarsi sempre. “Let it flow” ripone attenzione sulla dualità della visione di cui parlavamo poc’anzi attingendo dalla forza dello scorrere dell’acqua un termine di paragone metaforico. È sempre il colore che si fa evento e che stabilisce la sorgente di un racconto che poi fluisce libero agli infiniti estuari degli sguardi di chi osserva. Lì ritrova quell’orizzonte vasto che rende vivo il miracolo dell’immaginazione.













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