Nel "nido del pettirosso" la paura corre nel bosco
Il noir di Lorenzo Sartori ambientato sulle montagne della nostra regione «Lassù accadono cose inspiegabili e misteriose, e l’uomo è posto in condizioni di inferiorità»
Bolzano. «La montagna? Lassù accadono cose…». Che spesso non succedono laggiù, tra le genti di pianura e dentro le città degli uomini. Lorenzo Sartori ha messo lassù il “Nido del pettirosso”. Che è un rifugio non solo di fuggitivi, dove si va e si viene. «È simile ai tanti che ho visto e che mi hanno ospitato» rivela lo scrittore. Ma stanno solo nelle terre alte, perché si tratta di vivere, a starci, una condizione non solo naturale ma anche profondamente umana, come se il paesaggio e l’aria provocassero alcuni curiosi corto circuiti, in grado di cambiare le carte in tavola e di far fare cose che non ci si sognerebbe di fare al livello del mare, dove i cieli sono meno vicini e, probabilmente, mettono meno paura. È in questi territori estremi che ci si mette alla prova e facendolo, si rischia di trovare altri da se pur se ci pare di conoscerci da sempre. Non serve fare grandi scalate, ecco il punto. Basta camminare e aspettare che il tempo passi e che il corpo si adegui ai nuovi ritmi, provando a respirare meno velocemente e stare cauti con gli sforzi. Poi ci si guarda intorno e capita di non vedere nessuno per chilometri e allora l’effetto montagna inizia a farsi largo e a farci capire di cosa si tratta.
Sartori ha scritto un libro su tutto questo. È un giallo e si intitola, inevitabilmente “Il nido del pettirosso” che è appena uscito da Fazi editore. Si dipana anche tra il mistero, perché cos’altro possono ispirare i boschi, il fitto degli alberi e la luce del sole che improvvisamente scompare per non più riapparire se non per lunghi fili illuminati che cambiano a tutti i connotati.
Il mistero delle distanze e poi anche quello delle leggende. Gli incidenti, le cadute e tutto quello che accompagna lo starci in posti così difficili.
Perché la montagna e perché un thriller?
Beh, l’ambiente fa la sua parte. Pensiamo solo agli spazi. Lì l’uomo è posto immediatamente in condizioni di inferiorità.
Troppo respiro?
Troppo tutto. E questo è il bello. O il brutto, a volte. Anche i più esperti sono messi in situazioni difficili da quell’ambiente. È un territorio estremo.
Per lei?
Non solo. È facile perdersi, ad esempio. Nonostante guide e telefonini. Le mappe saltano al primo temporale. Il tempo, poi, cambia velocemente. Si passa dal sole ai temporali in un attimo.
Sarà anche l’isolamento?
Soprattutto. Ci si va proprio per isolarsi, tante volte. Ma poi arriva, questa sensazione di essere solo: tu e il bosco. Non sono cose che capitano nelle città. Lì, se ti succede qualcosa hai sempre l’idea che qualcuno possa vederti e soccorrerti. Invece lassù no. E questa cosa arriva, prima a poi, mentre cammini.
La montagna la conosce vero?
Ci vado da tanto tempo.
Soprattutto in Trentino?
Soprattutto. Ma cammino ovunque, non è detto.
Questo libro nasce allora dall’esperienza?
Certo. Da quello che ci vedo, nelle montagne, e dalle persone che incontro.
Anche il nido del pettirosso?
Quello è un albergo-rifugio che esiste. Certo non con quel nome. È stato messo in piedi da un’amica. Ma i riferimenti alla realtà non sono così precisi. Vanno e vengono.
Cosa c’è di vero?
Le sensazioni. I percorsi. E poi l’orso, che è così dentro le cronache in questi anni. E poi il turismo.
Adesso si chiama overtourism.
Lo è molto spesso. Troppo, troppa gente che sale e scende. Il rischio è che l’ambiente finisca per deturparsi.
E di perdere il suo mistero?
Ecco, questo sarebbe grave. Uno ci va per ritrovarlo, un possibile mistero. Ma lo trovi solo se riesci a startene un po’ solo, tu e il bosco o il dirupo.
Nel libro succede che una ragazza ci muore e che la madre salga per capire che ne è dell’altra figlia, misteriosamente scomparsa.
Ma non diciamo la fine.
Certo che no, è un giallo. A proposito, perché molti libri oggi usano lo strumento del thriller per raccontare?
Il giallo è un buon mezzo per scrivere storie. Tantissimi romanzi si occupano costantemente di fatti personali, di drammi interiori e poco della gente, della società. Invece un’indagine lo fa naturalmente. C’è un commissario che indaga su un possibile delitto e nel mentre, scandaglia la società che lo circonda, parla con le persone, fa emergere un contesto.
È più facile?
Non si tratta di facile o difficile ma di usare uno strumento che aiuta a parlare di tante cose e non solo di sé. Siamo circondati da letteratura che scrive del dolore del singolo, invece qui provo a mettere le mani nel lato oscuro della società.
Aiutato dalla montagna?
Assolutamente. E dai suoi luoghi.
Sono riconoscibili?
Mah… Ho chiamato il paese al centro delle vicende Alveno. Penso si noti l’assonanza con Molveno. O Aldeno. Io giro di solito nei pressi. Iniziando dal parco dell’Adamello o da Pinzolo. Spero si avverta che mi muovo bene...
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