«Noi, i soli a fuggire L’addio al passato per aver salva la vita» 

Giorno della Memoria. La storia della famiglia Bermann, scampata alle atrocità nazifasciste Leopoldo a Merano dopo 81 anni: «Molti restarono perché si sentivano parte di una comunità Mia madre ci convinse a fare il contrario, lasciammo qui tanti amici e conoscenti mai più rivisti» 


Jimmy Milanese


Merano. La storia della comunità ebraica in Alto Adige ha origini che si perdono nella notte dei tempi e parla di un travaglio che origina già nel Cinquecento. Infatti, testimonianze consistenti della presenza di comunità ebraiche in Tirolo si hanno già tra la fine del 1200 e l’inizio del 1300, ad esempio con la gestione della Zecca di Merano da parte della famiglia Bonisak di Gorizia o nella concessione vescovile del 1403 per l’amministrazione del Banco del Credito di Bressanone. Esiste documentazione dei privilegi da parte di Federico IV d’Asburgo verso alcune famiglie ebraiche, ma anche i primi segnali di quello che drammaticamente sarebbe stato il destino, appunto, travagliato della comunità ebraica. Ad esempio, in forza di un decreto emesso da Massimiliano I, gli ebrei venivano letteralmente cacciati dal Tirolo o, sulla base di quello del 1573 ad opera di Ferdinando II, veniva imposto agli ebrei tirolesi d’indossare un bollino di tessuto giallo del diametro di circa 9 cm per segnalare alla popolazione la loro presenza fisica sul territorio.

Ad ogni modo, l’ondata migratoria numericamente più significativa che segnala l’arrivo di persone di religione ebraica risale alla metà del XIX secolo, quando l’allora contea del Tirolo infittisce il commercio con altre regioni dell’Impero austro-ungarico, anche grazie al passaggio dalla mobilità in carrozza a quella su rotaia. Tra le famiglie che decidono di trasferire la loro residenza dalle nostre parti ci sono quelle degli Schwarz, dei banchieri Biedermann e, in particolar modo, quella dei Bermann.

La vicenda di Bermann è particolarmente interessante proprio perché rappresenta uno dei rarissimi casi di famiglia ebraica riuscita a scampare dal tragico destino che nazismo e fascismo avevano disegnato per la “razza degli ebrei”. Dopo alcune peripezie, provenienti dalla lontana Moravia nel 1870 Josef e Katharina Bermann decidono di stabilire i loro affari a Merano, inaugurando tre anni dopo il primo ristorante a tradizione ebraica in regione. Nel 1905 il figlio Leopold acquista l’ex Hotel Bellaria di via Huber sempre a Merano, trasformando l’edificio in uno degli alberghi più rinomati della città. Invece, ancora in quel periodo è il fratello Max ad essere nominato direttore di un importante sanatorio che a Quarazze curava malattie neuronali e mentali. Prima dello scoppio della Grande Guerra sono una trentina i Bermann residenti tra Merano e Bolzano. Le cronache dell’epoca parlano di una famiglia benvoluta e conosciuta proprio per la estrema disponibilità e spirito caritatevole verso tutta la comunità.

Nel 1931, ultimogenito della famiglia, nasce Leopoldo, figlio di Leopold, ad oggi unico sopravvissuto agli eventi che di lì a poco avrebbero sconvolto le sorti dell’intera comunità. Poco tempo fa Leopoldo Bermann è ritornato a Merano con l’intento di realizzare un video documentario sulla vita della sua famiglia, la quale fu inevitabilmente travolta dagli eventi del 1938, anno nel corso del quale il governo italiano approvava una serie di “Leggi per la difesa della razza”, che in particolar modo discriminavano la vita privata, sociale ed economica dei cittadini italiani di religione ebraica.

Il legame con Merano

«Sono tornato in Alto Adige dopo oltre 80 anni per vedere mio nonno, la sorella di mia nonna e la mia famiglia sepolta al cimitero ebraico di Merano, ma anche per rivedere l’albergo che i miei genitori gestivano e che ora non è più un albergo e per girare un documentario sulla vita della mia famiglia», ci spiegò Leopoldo Bermann nel 2019, 81 anni dopo quel novembre del 1938 nel quale assieme alla sua famiglia fu costretto a scappare da Merano per trovare rifugio a Saint Moritz in Svizzera.

La fuga

«Della mia numerosissima famiglia nessuno rimase in Alto Adige, perché pochi giorni prima dell’11 novembre 1938, quando entrarono in vigore le leggi razziali, siamo scappati lasciando dietro di noi moltissimi amici e conoscenti che non abbiamo mai più rivisto. I Bermann devono tutto alla lungimiranza di mia madre, se ora posso raccontare una storia più unica che rara di una intera famiglia sfuggita per miracolo ai campi di concentramento», ci raccontò Bermann, tenendo per mano la moglie di fronte al cimitero di Merano con la preghiera di riportare quanto più possibile un suo vivido ricordo. «Molti ebrei non vollero lasciare l’Alto Adige, non credendo alle storie di deportazione di massa che si raccontavano e all’esistenza dei lager e delle camere a gas, proprio perché ci sentivamo parte di una comunità, nonostante le manifestazioni di odio razziale avessero raggiunto un livello inaccettabile anche nei confronti di noi bambini», ci spiegò Bermann. «Inoltre, scappare significava rinunciare al passato e proprio per evitare questo nell’autunno del 1938 mia mamma tornò di nascosto a Merano per vendere la nostra casa, ma il giorno della firma dell’atto di vendita entravano in vigore i decreti che impedivano agli ebrei di vendere casa o a un italiano di comprare un qualsiasi bene immobile da un ebreo, perché tutto sarebbe stato requisito», spiegava Bermann nella totale assenza di qualsiasi sentimento di rivalsa.

Ricordi cancellati

«La casa è così rimasta incustodita con tutti gli oggetti di famiglia, la città è stata occupata da nazisti che sono entrati nelle nostre proprietà depredando tutto quello che si potesse. Per capire il clima di quel tempo devo aggiungere un particolare. Con l’arrivo degli inglesi in città nell’aprile del 1945 mia mamma ritrovò in un hotel a Bolzano l’argenteria del nostro albergo. Proprio un ufficiale inglese le disse che alla fine delle ostilità avremmo ricevuto tutto indietro, anche se noi non abbiamo visto mai più nulla. Se ne sono approfittati gli inglesi come anche molti altoatesini ai quali gli ebrei hanno dovuto letteralmente svendere le loro proprietà prima dell’emanazione dei divieti di legge, proprio per non rischiare di vedersele sequestrate dai fascisti», chiosava Bermann ancora in un perfetto italiano dopo 81 anni da qui tragici eventi. Negli ultimi tempi Leopoldo Bermann ha vissuto a Gerusalemme, dopo una vita passata a dirigere Hotel tra la Svizzera e il Regno Unito.













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