Oltre la Rosa Bianca, cercando la resistenza tedesca 

Storia e memoria. Hans Heiss: «I lager nazisti erano pieni di oppositori politici del regime» Furono almeno 130 mila i sudditi del Reich, in gran parte comunisti e socialisti, uccisi da Hitler L’onda lunga dei resistenti di matrice cattolica, per quanto flebile, arrivò fino in Alto Adige


Paolo Campostrini


Bolzano. Nel 1943, in questi giorni di febbraio, i ragazzi della Rosa Bianca furono ghigliottinati. Hans , Sophie e Christoph per primi. Altri ne seguirono. Anche il loro professore di filosofia, Kurt Huber. Erano cattolici. Si chiedevano: come si può conciliare il Vangelo col nazismo? Loro se lo sono chiesti e hanno risposto: no, non si può. Altri non se lo sono semplicemente chiesto. O hanno rimandato la risposta a tempi migliori. «C’è un fondo di conciliazione verso il potere nella cultura cristiana - dice oggi Hans Heiss, docente e storico sudtirolese - che nasce dall’invito di dare a Cesare quel che è di Cesare e che in Germania ma anche in Italia si è saldato allora col nazionalismo e l’identità patriottica. Ma non va dimenticato che anche in Alto Adige i pur isolati episodi resistenziali nei confronti del nazismo vennero tutti dagli ambienti cattolici». Ed è dentro questa cultura che cresce la coscienza culturale di quel gruppo di giovani bavaresi , a Monaco, tra il ’42 e il ’43. Quando, con la guerra in corso, i margini di discussione erano stati ancor più ridotti, la “Weisse Rose” scrive volantini , li distribuisce sulle scale dell’Università , parla con i compagni di come effettuare una resistenza passiva anche alla chiamata alle armi, si ritrova in gruppo a leggere la sera, di nascosto, Goethe e Schiller , Lessing e i dialoghi di Platone. Sono i libri proibiti. I nazisti li hanno bruciati. Si ripetono ad alta voce le parole di Socrate: “Quello che avvantaggia lo stato non sempre è moralmente giusto”. Sono una ventina. Il proselitismo è impossibile, la polizia sempre sulle loro tracce. Che certo, quei ragazzi non si impegnano molto a cancellare. Promuovono una resistenza non violenta. Anche sulla spinta delle analisi del loro professore immaginano di saldare i valori del cristianesimo con quelli della cultura occidentale. E trovano l’anello di congiunzione di tutti questi fili nella dignità della persona. Di ogni singola persona. La libertà di pensare e di leggere. Anche quella di opporsi a ciò che ritengono inconciliabile con la loro coscienza. Ci sono state tante resistenze, anche in Germania. All’inizio anche di massa. Ecco una questione spesso sottovalutata. Pure nel mentre si ricorda l’eroismo solitario della Rosa Bianca: così giovani ma così pochi in fondo... In realtà i campi di concentramento nazisti sono pieni anche di tedeschi. Soprattutto nei primi anni dell’ascesa di Hitler al potere. Pochi numeri per capire e per uscire dalle consuetudini della memoria: furono 130mila i sudditi del Reich di lingua e stirpe tedesca mandati a morire in quanto oppositori. I più comunisti e socialisti. Ma non solo. Migliaia furono richiusi nei lager e oltre un milione vennero sottoposti ad interrogatori e torture. Certo, decine di milioni divennero complici, oltre 60 milioni non mossero un dito ma le testimonianze valgono proprio perché avvenute in un clima di quasi totale ostilità . Ci fu resistenza e resistenza. Quella degli Junker, l’aristocrazia militare di ascendenza prussiana che, in molti suoi componenti disgustata da Hitler (“quel caporale austriaco...”)e per giungere ad una pace con gli alleati prima della tragedia, divenne il fulcro della congiura di von Stauffenberg. Quella socialcomunista negli anni Trenta. E quella cattolica. La più implacabile culturalmente. Anche se minoritaria. Stretta tra la prudenza delle autorità ecclesiali e la spinta alla coerenza evangelica. Due resistenze, alla fine. Quella di von Stauffenberg si concluse, davanti al patibolo, con il grido del nobile ufficiale: “Viva la sacra Germania!”. L’ultima parola di Hans Sholl fu invece una invocazione :”Libertà”. Questa loro resistenza già immaginava una nuova Germania, capace di risollevarsi dai suoi orrori attraverso la riesumazione della cultura della dignità personale . In cui ognuno fosse in grado di parlare a se stesso ma senza sollevarsi dalla responsabilità. Sia individuali che di popolo . “Ognuno di voi - era scritto in uno dei volantini distribuiti a Monaco dalla Rosa Bianca - vuol liberarsi di queste complicità ma poi ricade nel sonno, con la coscienza tranquilla. E invece non ci si può scagionare : ciascuno è colpevole, colpevole!”. Hans , 24 anni, e Sophie Scholl, 21 anni, Christoph Probst, 23 vennero ghigliottinati il 22 febbraio. Gli altri pochi giorni dopo, tra arresti successivi e tentativi di fuga. La loro memoria fu a lungo posta in sordina ma oggi anche Bolzano possiede un monumento in loro onore. E lunedi 22 febbraio celebrerà, con sindaco e vice, il loro ricordo. Lo farà anche il Centro per la Pace che, in collaborazione con l’Anpi, ha programmato un incontro in diretta Facebook (ore 18) , nel 78esimo anniversario , col titolo “La Rosa Bianca non vi darà pace”. Proprio sul filo di quel “ciascuno è colpevole”. Ci saranno Paolo Ghezzi, autore di molti libri sul gruppo di resistenti cattolici e Paolo Zambaldi , cappellano di Tre Santi e Sacra Famiglia. E anche in questi anni, in Alto Adige, molti storici hanno indagato su questo dramma, provando a individuare connessioni anche culturali tra il passato e il presente del mondo di lingua tedesca. Uno di loro è Hans Heiss.

Professore, cosa resta oggi della Rosa Bianca ?

Innanzitutto la testimonianza. Che va al di là del l’eroismo individuale dei singoli e tocca elementi politici e culturali precisi. Di tipo non solo religioso.

Nel concreto?

Oggi la Germania è uno stato federale. Non lo è a caso. Lo è diventato come precisa reazione al nazismo e al nazionalismo.

E in questo c’entrano i fratelli Scholl?

C’entrano molto. Tutta l’elaborazione teorica della Rosa Bianca andava in una direzione precisa: la rifondazione della Germania. Che doveva partire da zero. E comprendendo come alla radice del nazismo e dei suoi delitti ci fossero due elementi uno politico è uno istituzionale: il nazionalismo e il centralismo. La via d’uscita era la creazione di una nazione federata, con ampi margini di libertà istituzionale al suo interno, con regioni dotate di larga autonomia. Questo meccanismo sarebbe stato in grado di tagliare alla radice la pianta che aveva generato il nazismo.

C’era anche una matrice culturale comune nella Rosa Bianca in questo senso, cioè interna anche alla Germania di allora, come essi stessi la percepivano ?

È chiaro negli scritti del loro ambiente, anche dei loro docenti, come tutti avessero chiara la necessità di “allontanarsi da Berlino”. Anche in senso geografico. Di uscire da quel destino che sembrava immutabile e che legava la Germania alla capitale prussiana e dunque alla Prussia anche come tradizione militare e soprattutto centralistica. Non è un caso che tanti di quel gruppo si ispirassero alla tradizione liberale di Ulm, città colta e autonoma fino ai primi dell’800 .

Ci sono fili che legano la Rosa Bianca all'Alto Adige?

Ad esempio il fatto che anche tra i sudtirolesi l’unica resistenza attuata fu quella di stampo cattolico. Nata nei gruppi giovanili cattolici e alimentata dalle letture del Vangelo. Anche da noi questi ambienti di scontravano con quelli diocesani di Bressanone dove invece l’adesione al nazismo era diffusa. Ma tutto ciò si innesta nella storica frattura tra la chiesa ufficiale e quella “bassa” lungo tutto il Novecento delle dittature. Anche le polemiche storiche post belliche sul ruolo del papato nei confronti della Shoah si sono alimentate in questa dicotomia, tipica della comunità cristiana.

E invece l'eredità più universale dove si può rintracciare, ancora oggi?

Nell’aver individuato dentro il concetto di dignità il nocciolo della questione. La dignità che possiede ogni uomo e che va sempre rivendicata. Loro lo facevano in quanto cristiani, in quanto il Vangelo quella assegna ad ogni uomo. Unita alla libertà. Ma è su questo piano che la loro resistenza assume anche un valore pienamente laico. Capace di contenere un messaggio che oggi, dalla Belorussia alla Birmania, rischia di essere di nuovo ignorato s combattuto.

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