TEATRO

Parla Paolo Rossi: «Il mio Amleto tra tragico e comico» 

L’intervista. L’attore è a Venezia per le prove della coproduzione tra Tsb e Stabile del Veneto «Questa tragedia è forte e poetica, e poi parla di teatro in un momento in cui i teatri sono chiusi» Lo spettacolo dovrebbe approdare a Bolzano dall’8 al 10 di aprile, ma il condizionale è d’obbligo


Daniela Mimmi


Bolzano. «Il teatro di William Shakespeare è un liquore furbo e noi commedianti siamo solo le spugne che se ne imbevono e prendono la forma che più serve al nostro mestiere». Così Paolo Rossi descrive il “suo” Amleto, scritto con la collaborazione drammaturgica del meranese Roberto Cavosi, che sta provando in questi giorni al Teatro Goldoni di Venezia. L’Amleto di Paolo Rossi è una co-produzione tra Teatrio Stabile di Bolzano, diretto da Walter Zambaldi, e Stabile del Veneto e avrebbe dovuto essere sul palcoscenico del Teatro Comunale dall’8 al 10 aprile. Per ora si sa che inaugurerà il cartellone dell’Estate Teatrale Veronese con il debutto al Teatro Romano il 1° luglio. In attesa di tornare dal vivo, sul palco dello storico teatro veneziano Paolo Rossi, affiancato da una compagnia di otto artisti tra attori e musicisti, sta allestendo, la sua originale versione del celebre dramma shakespeariano. I personaggi principali dell’Amleto ci saranno tutti, a partire da Rossi, regista e contastorie, che manovra i fili della messa in scena, al principe di Danimarca, ossessionato da un sogno che lo spinge a perseguire la vendetta, a sua madre sposata a Claudio l’usurpatore, il ciambellano Polonio, Ofelia, la cui disperazione non lascia scampo. Come sarà l’Amleto firmato Paolo Rossi? Lo abbiamo chiesto a lui.

«Abbiamo appena fatto una sorta di prova generale per gli addetti ai lavori. Io sono molto contento, è uno spettacolo che lascia il segno. Come per il mio “Giulietta e Romeo”, rappresenta una svolta del teatro contemporaneo o precede i tempi. Non saprei descriverlo o definirlo. Come spesso nei miei spettacoli, ognuno vede quello che ama. Ci sono solo due scene che non ha potuto inserire per le regolamentazioni anti covid».

Perché questa volta ha scelto Amleto?

Perché questa tragedia ha un’anima forte, è poetica, è sempre borderline tra tragico e comico, tra serietà e cazzeggio. E poi perché parla di teatro, in un momento in cui i teatri sono chiusi. È una sorta di delirio rigoroso. È il primo testo che viene in mente a tutti quando si parla di teatro.

Questo è Amleto decisamente …affollato. Come mai tanti attori in scena?

Perché in teatro recitano le compagnie. I monologhi o i reading spesso sono delle truffe, si risparmia per poi andare in Polinesia. Io non ci vado, ma sul palco porto una compagnia al completo.

Tra le mille chiavi di lettura della tragedia sheakesperiana, ce n’è una che avete privilegiato?

Come sempre nei miei spettacoli, il lavoro nasce mano a mano che lo si fa, e in questo caso dobbiamo anche immaginarci un pubblico che non c’è. Il teatro è nato nell’antica Grecia come un rito, un processo, una sfida, una rissa. È vivo, è un evento, un atto creativo non ripetitivo. Come il calcio e il sesso.

Lei che cosa fa sul palco?

Io sono il capocomico, gli altri sono i personaggi classici e ortodossi. Al contrario di Shakespeare che spostava i problemi del personaggio sull’attore, noi facciamo il contrario: portiamo i nostri problemi intimi, privati fino a rompere le scatole ai personaggi.

Ci saranno anche, come sempre nei suoi spettacoli, le musiche dal vivo con Emanuele Dell’Aquila, Stefano Bembi, Alex Orciari. Che tipo di musiche avete scelto?

Sono la band che mi segue da tanto, i Virtuosi del Carso. Noi usiamo melodie conosciute per scomporle, cambiarle. Siamo dei decompositori.

Provare uno spettacolo che non si quando salirà sul palco, anzi se salirà su un palco, è frustrante o anzi è uno stimolo in più per tornare alla normalità?

Ci sono sempre ostacoli nella vita e nella carriera e bisogna trasformarli in stimoli. Shakespeare era messo peggio di noi, ha perso 608 repliche per colpa della peste e perché molti pensavano che gli attori, con i loro peccati e opere peccaminose, portassero la peste. Nel 1.700-1.800 i teatri venivano chiusi per 3 mesi, durante la Quaresima. Quindi, tutto sommato, noi possiamo anche essere contenti…













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