«Porto un po’ di buonumore» 

Intervista a Nancy Brilli. L’attrice è protagonista di “A cosa servono gli uomini?” che andrà in scena il 25 febbraio al Comunale di Bolzano «Non è un manifesto femminista, esprime solo con leggerezza un punto di vista femminile. Uomini e donne devono fare le cose insieme»


Daniela Mimmi


Bolzano. Iaia Fiastri scrisse la commedia “A che servono gli uomini?” negli anni Ottanta, ma pare che le donne continuino a farsi la stessa domanda se adesso Nancy Brilli e Lina Wertmüller, la prima interprete e la seconda regista, hanno ripreso quel testo scritto più di 30 anni fa per riportarlo in scena e a nuovo splendore, facendo conoscere anche a chi è più giovane un pezzo, chiamiamolo così, di storia di costume del nostro Paese.

La commedia è una delle punte di diamante della rassegna Musa Leggera del Circolo l’Obiettivo e sarà al Teatro Comunale di Bolzano il 25 febbraio. Nel 1988, anno della prima messa in scena della commedia, la protagonista era Ombretta Colli, e suo marito Giorgio Gaber preparò per lo spettacolo una colonna sonora con un prodotto finale ricco di ritmi, originalità, brani belli e semplici che arrivano subito all’orecchio e che sono rimasti nella testa di moltissimi spettatori.

L’autrice è Iaia Fiastri, commediografa di successo e storica collaboratrice della premiata ditta “Garinei e Giovannini” con la quale firma, tra gli altri, “Aggiungi un posto a tavola”, “Alleluja brava gente” e “Taxi a due piazze”. Pietro Garinei diceva di lei che “se fosse nata in America sarebbe stata una Lillian Hellmann, o una Nora Ephron”. La protagonista di questo nuovo allestimento sarà Nancy Brilli, che interpreterà Teodolinda, Teo per gli amici, una donna in carriera stufa del genere maschile, che si definisce soddisfatta della sua vita da single ma rimpiange di non aver mai avuto un figlio. Attraverso astuti e femminili stratagemmi e grazie alla genetica, riuscirà a rimanere incinta, salvo poi scoprire che il padre biologico è un quarantenne dai modi rozzi che vive ancora con la madre. Abbiamo intervistato Nancy Brilli.

Che commedia è “A cosa servono gli uomini?”? Dal titolo potrebbe sembrare un po’ femminista…

No, assolutamente. C’è solo il punto di vista femminile. Non è contro gli uomini, perché bisognerebbe fare tutto insieme a loro. Dovrebbe essere questo lo scopo della famiglia, non solo quella tradizionale o allargata, ma quella composta anche dagli amici, i vicini, i parenti e che dovrebbe essere basata sull’amore.

Il tono è volutamente frivolo e leggero?

Non direi frivolo, leggero sì. Sono cento minuti di leggerezza studiata e scritta benissimo, in cui gli attori devono essere perfetti e precisi come orologi svizzeri, ed è un attimo trasformarsi in guitti. È una commedia elegante, un racconto inedito in cui bisogna stare al gioco. È impensabile che nel 2020 una possa introdursi in un istituto di ricerche genetiche e rubare la provetta che le farà avere il bambino. La regia ha introdotto momenti di cinema con rallenty e fermo immagine.

Secondo lei cosa apprezza il pubblico di questa commedia?

Lo so perfettamente: gli attori, la regia, il fatto di immergersi in un gioco, e di uscire dal teatro con buonumore.

Dopo due matrimoni e una lunga convivenza, lei personalmente cosa ne pensa degli uomini? Pensa di assomigliare a Teo, la protagonista?

No, perché Teo è delusa dagli uomini, ce l’ha con loro, pensa che siano bugiardi, vili, senza sentimenti. Io no.

C’è una risposta alla domanda del titolo?

Sì: a collaborare. Non va bene un mondo di sole donne e non va bene un mondo di soli uomini.

Lei è diventata attrice per caso. Cosa avrebbe voluto fare?

Ho frequentato l’Istituto d’arte e avrei voluto fare la grafica e la fotografa. Poi ho fatto il primo film, proprio per caso, e sono diventata attrice. Diciamo che da giovane avevo molte idee e confuse.

Dai cinepanettoni a Goldoni alle fiction televisive: qual è il genere di spettacolo in cui si sente a suo agio?

In tutti, ma il teatro è magico. Ogni spettacolo teatrale è unico, irripetibili, ogni replica è un nuovo spettacolo. Inoltre il pubblico ha un ruolo attivo.

Adesso cosa le piacerebbe fare?

Un film drammatico, o meglio una tragicommedia, una di quelle in cui noi italiani siamo stati maestri.

Come sta il cinema italiano?

Ci sono delle punte di diamante, ci sono racconti carini e ci sono delle pellicole che non si capisce perché vengano girate e distribuite.

Perché il cinema italiano fa fatica a uscire dai nostri confini?

Un po’ è colpa della distribuzione, un po’ dei temi trattati, che sono troppo tipicamente italiani e non universali.















Altre notizie

Attualità