Quel conto rimasto aperto 

Storia e memoria. Dopo il successo di “Mussolini ha fatto anche cose buone”, Francesco Filippi torna con “Ma perchè siamo ancora fascisti?” Il nuovo libro dello storico trentino verà presentato oggi in prima nazionale, con l’autore, sulla pagina facebook della Libreria Arcadia di Rovereto


CARLO MARTINELLI


Trento. Dovremo abituarci. Al tempo della pandemia quello che era appuntamento atteso e importante per chi ha a cuore i libri, la memoria, la storia, l’essere cittadini consapevoli di questo mondo, vive un tempo sospeso. Sì. Per ora le presentazioni dei libri - quelle fisiche, quelle in cui si guarda negli occhi, si discute, ci si riconosce - sono abolite. Sostituite da qualcosa che non sappiamo ancora bene se ci piace, se funziona, se ci aiuta. Ma è quel che c’è ed è importante. Così, oggi, 30 maggio, sulle pagine Facebook della Libreria Arcadia di Rovereto e della casa editrice Bollati Boringhieri, alle ore 19, l’appuntamento è davvero di quelli importanti. La prima presentazione nazionale di un libro che - accettiamo scommesse - è destinato a replicare il successo (e il dibattito) del libro che l’ha preceduto e del quale è figlio, legittimo.

Già. Il precedente libro di Francesco Filippi, “Mussolini ha fatto anche cose buone” (sottotitolo, a chiarire eventuali dubbi: le idiozie che continuano a circolare sul fascismo) ha venduto qualcosa come 50 mila copie: risultato impressionante per un saggio storico, in un mercato come il nostro. Un libro in cui veniva messo in chiaro, sulla base di fatti, che Mussolini fu un pessimo amministratore, un modestissimo stratega, tutt’altro che un uomo di specchiata onestà, un economista inetto e uno spietato dittatore. Il risultato del suo regime ventennale fu un generale impoverimento della popolazione italiana e una guerra disastrosa. Ora, fresco di stampa, ed oggi appunto alla “prima” nazionale via internet, ecco “Ma perché siano ancora fascisti?”, dove il sottotitolo è: un conto rimasto aperto, l’editore ovviamente ancora Bollati Boringhieri, 256 le pagine (fitte fitte, questo è un lavoro di ricerca storica che rifugge dalle miserie compilatorie di un Bruno Vespa qualsiasi), 12 euro il prezzo. Trentino - è di Levico Terme, vive a Caldonazzo - Francesco Filippi è storico della mentalità ed indagatore del rapporto fra memoria e presente ed è formatore presso l’Associazione di Promozione Sociale Deina, che organizza viaggi di memoria e percorsi formativi in tutta Italia. Nella sua affilata analisi individua i motivi che hanno portato tanti nostri concittadini a cadere vittime, ancora oggi, di una propaganda iniziata oltre due generazioni fa. Com’ è possibile, si chiede, che dopo una guerra disastrosa, milioni di morti, l’ infamia delle leggi razziali, la vergogna dell’ occupazione coloniale, una politica interna economicamente fallimentare, una politica estera aggressiva e criminale, oggi ci guardiamo intorno e ci scopriamo ancora fascisti? Cos’ altro avrebbe dovuto succedere per convincere gli italiani che il fascismo è stato una rovina ? Eppure ancora si moltiplicano le svastiche sui muri delle città, cresce l’ antisemitismo, un diffuso sentimento razzista permea tutti i settori della società. Filippi ci racconta molte cose: com’ è finita la guerra, cosa è stato fatto al termine del conflitto e cos’ è mancato. Ed il modo in cui noi italiani ci siamo autoassolti, mentre il passato non è passato.

Filippi, da dove nasce questo suo nuovo viaggio dentro e attorno l’infamia fascista?

Il titolo del libro è la domanda che più volte mi è stata posta durante le decine di presentazioni fatte dopo l’uscita di “Mussolini ha fatto anche cose buone”, nel marzo dell’anno scorso. E’ la naturale prosecuzione di un dialogo.

Cos’è successo all’Italia? Perché il ritorno di ammorbanti pensieri?

Lo spartiacque sono stati gli anni Novanta. La cristallizzazione della Resistenza in un mito fondativo. Con il crollo dei grandi partiti di massa c’è stata una sorta di “liberi tutti”. Abbiamo gettato il bambino con l’ acqua sporca, la vigilanza contro le derive autoritarie insieme alla corruzione della fine degli anni ’80. Si sono imposte narrazioni deboli e veloci. L’affondamento della Prima Repubblica ha minato tutto il complesso. Sono morte le ideologie, ma sono rimasti gli slogan. Nel mio saggio analizzo in particolare quello che è successo nel 1945, la defascistizzazione mancata, lo scarto tra ripulire e ricostruire, i temi legati all’amnistia.

La sua analisi tocca anche il linguaggio, in particolare quello cinematografico.

Vero. Tutt’oggi pellicole come quelle della saga di don Camillo e Peppone di Guareschi ci spiegano ancora molto della nostra narrazione, anche attorno al fascismo. Io credo nel ruolo per così dire professionistico degli storici, ad una metodologia che attinge al cuore. Perché, per dirla con una citazione, gli uomini assomigliano più al loro tempo che ai loro padri. C’è ancora una accezione negativa, dalle nostre parti, nel parlare di ricerca storica divulgativa. Ed invece mi piace pensare che il lavoro che si sta facendo, anche nello smontare, frase per frase, bugia per bugia, troppi pensieri, correnti e assolutori, sul fascismo contribuisca a ciò che ritengo decisivo: segnare un confine netto tra dibattito informato e dibattito disinformato. Per comprendere, ad esempio, come sia stato possibile che la storiografia sul fascismo che in Italia è stata certamente ricca ed articolata non abbia inciso più di tanto sul sentire comune, non abbia impedito questo ritorno, pericoloso.

Ma davvero rischiamo il ritorno del fascismo, o meglio, di forme di fascismo?

Il fascismo non è ripetibile in fotocopia e in senso storico è morto con il duce. Ma il fascismo, lo diceva Eco, non è una filosofia quanto una retorica, un modo di raccontare la società. Un modo di vedere che riemerge quando il racconto democratico viene meno, mostra la corda. Perché se la democrazia non si cura, le ferite riemergono. Il fascismo è la malattia cronica di una democrazia malata quando si mitizza il passato e riemergono le nostalgie. Che trovano poi - basti pensare all’Ungheria di Orban - la strada delle nuove tendenze autoritarie, populiste, sovraniste.

Si può già leggere il tempo della pandemia in una prospettiva storica?

Qualcosa vorrà dire se la risposta di molti italiani è stata lo stringersi orgoglioso attorno ad un sentimento patrio-nazionale di stampo ottocentesco e novecentesco. La mia sensazione, oggi, è che da questi mesi non ne usciremo migliori.















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