Il libro

Quelle Opzioni che divisero: la storia della famiglia di Carlo von Guggenberg

Un nonno Dableiber, Otto von Guggenberg, fondatore della Svp, e un altro optante, Paul Mayr, responsabile del settore bancario altoatesino durante l’Alpenvorland


Paolo Campostrini


BOLZANO. Scrivere un libro sulle opzioni è un conto. Scriverlo con in casa e nelle memorie famigliari ancora vive, un nonno Dableiber e uno optante è un altro. Un altro ancora se il nonno Dableiber è stato anche fondatore della Svp dopo il '45 e segretario del partito prima dell'arrivo di Magnago. E quello, invece, optante, ha a sua volta retto le fila delle Sparkassen sudtirolesi per anni e, soprattutto, ha diretto il settore bancario altoatesino durante l'Alpenvorland. Vale a dire tra il '34 e il '45 quando l'intera ragione fu occupata militarmente dalla Wehrmacht e amministrata direttamente dal Reich attraverso un suo Gauleiter.

«Uno, il mio nonno paterno era Otto von Guggenberg, l'altro, il materno, Paul Mayr» dice oggi Carlo von Guggenberg. Poi, per mettere a fuoco altra storia che da famigliare è stata inevitabilmente collettiva, ci sarebbe da aggiungere che la clinica di Guggenberg, a Bressanone, ebbe a che fare anche con l'imperatore Carlo. Perchè Karl, l'ultimo degli Asburgo intesse un lungo rapporto e non solo sanitario e di cura, con la famiglia. Tanto da instillare anche un carattere. «Quei tratti austriaci in senso classico e dunque non di tipo nazista - rivela oggi Carlo-Karl - il senso di una politica fatta di misura e di onore, senza accessi, furono decisivi per mio nonno». E dunque per tracciarne anche il percorso pubblico.

In netta contrapposizione con quell'Alto Adige preda invece delle sirene naziste, pronto a porsi nelle braccia degli agitatori hitleriani che percorrevano le valli per indurre a lasciare la propria Heimat, allora in via di aggressiva italianizzazione e fascistizzazione, e trovare una nuova patria nelle terre tedesche. In alcuni casi uomini come von Guggenberg, o lo stesso Amonn, altro Dableiber e fondatore della Svp post bellica, furono tacciati di tradimento. Di adesione alle pretese del conquistatore, di abbandono della tradizione ormai posthoferiana del sangue e del suolo. E le tracce di questa frattura sono finalmente raccontate in prima persona. Non più e non soltanto in termini storiografici o archivistici ma come memoria viva.

Carlo von Guggenberg ha dunque scritto un libro su tutto questo, presentato di recente a Bolzano. Si intitola «L'Altro Adige, Dableiber e optanti per la nascita della Stella alpina» (Praxis editore).

Due nonni su due fronti. E in famiglia?
«È stato difficile anche dopo la guerra. Se penso che anche mia mamma non ne parlava mai. Quasi mai. In particolare del nonno optante».

C'era che tipo di pudore?
«Suo papà era stato oggettivamente un fiancheggiatore dei nazisti. Il fatto che si provasse a non parlare di questa esperienza aiutava evidentemente a vivere meglio i tempi nuovi. Solo dopo anni la mamma me ne parlò».

Probabilmente perché l'altro nonno aveva fatto un percorso opposto?
«Nonno Otto era un uomo di grande rettitudine. Ma anche Paul Mayr aveva una solida etica di fondo. Erano questioni politiche, allora, più che morali».

Intende negli anni della guerra?
«E certo. Si era divisi tra la storia, l'etnia, il disagio di trovarsi occupati dai fascisti e la razionalità politica. E poi il nonno Mayr aveva coltivato negli ultimi anni della guerra un certo distacco dal nazismo. Diceva: “Non ci credo più”. Ma si facevano, mi raccontano in casa, discussioni molto accese».

Dunque le opzioni divisero nettamente la sua famiglia?
«Ci fu una frattura. E netta. Lunghe tensioni tra i nonni e le rispettive famiglie. Che erano lo specchio di quanto accadeva in tante, se non in tutte, le case sudtirolesi».

Ma con l'aggiunta che tutto questo da voi avveniva a livelli decisionali importanti. I due nonni contavano già molto nella società di allora.
«Direi di si. Ma questo non diminuiva la sofferenza dei miei famigliari, stretti dalla storia in mezzo a scelte laceranti. Un si o un no in quei momenti non era facile per nessuno. Soprattutto per persone che avevano una visione ampia delle questioni».

Poi, il nonno Guggenberg fu uno dei protagonisti della ricostruzione politica di questa terra. Fino a fondare il primo partito di matrice democratica.
«Fu lo sbocco di scelte già elaborate da Otto. Il fatto di essere stato Dableiber, di aver affrontato anche le critiche sotterranee di tanta gente, di aver evitato una palese adesione al nazismo è stato poi l'elemento decisivo per tessere le relazioni in grado di immaginare un futuro diverso per la nostra popolazione».

Partendo da dove?
«Dalla scelta democratica. Dal rifiuto delle due dittature».

Che ruolo ebbe in questo frangente Otto von Guggenberg?
«Direi decisivo. Divenne segretario del nuovo partito, partecipò in prima persona alla conferenza di pace di Parigi in cui si posero le basi della pacificazione e della futura autonomia».

L'Svp nasce come partito dei Dableiber e più estesamente degli anti nazisti e a volte anche dei resistenti. Ma poi?
«Poi diventa a maggioranza il partito degli optanti. Chi aveva scelto il Reich alla fine, in base gli accordi, rientra a casa».

E allora si spostano gli equilibri?
«È avvenuto così. Non a caso dopo un pò la Svp smette di essere quella di von Guggenberg, di Amonn e di Volgger e diventa il partito di Magnago».

E che succede?
«Che passa dalla moderazione di mio nonno all'aggressività del nuovo leader. Non dico che non fosse funzionale ai tempi, quel nuovo approccio, ma ci fu un cambio di tono palese».

Forse inevitabile, dato il momento?
«Questo non lo so. Non c'è la controprova che gli stessi risultati si sarebbero potuti raggiungere anche con un altro approccio, più trattativista. Resta il fatto che da Castel Firmiano in su, da quel Los von Trient in avanti la storia ricorda quasi esclusivamente Magnago».

E invece?
«Sono convinto che per quanto fatto durante la guerra, per le scelte difficili di allora, per la visione successiva da cui nacque la Volkspartei e un Sudtirolo capace di curare le sue ferite anche interne, Otto von Guggenberg possa essere posto a fianco della lunga tradizione storica della nostra terra, da Mainardo a Hofer. Come un personaggio capace di incidere sulla storia».

In cosa questo suo libro sulle opzioni è diverso dagli altri scritti finora?
«Beh, per un paio di ragioni. La prima è la mia equidistanza. Tanti italiani non conoscono quei momenti bui e io li racconto anche per loro, visto che sono nato qui ma vivo ormai da tempo a Milano. Poi perchè parlo di vicende che hanno inciso direttamente sulla vita dai miei più stretti famigliari. Infine perchè la storia anche importante, pensando ai miei due nonni, von Guggenberg e Mayr, è passata dentro la nostra intimità. Visto i ruoli che i due, prima e dopo, hanno rivestito in quelle particolari circostanze».













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