Riaprono i musei L’Alto Adige pronto a cogliere l’occasione 

La novità. Il Governo dà il via libera all’offerta culturale nelle zone meno a rischio del Paese Vettorato: «Se i numeri del contagio non peggiorano bene le aperture, spero anche per i teatri» Zingerle: «Prossime ore decisive, con tanta incertezza partiranno però solo le strutture solide»


daniela mimmi paolo gaiardelli


BOLZANO. Questo sabato riaprono i musei nell’Italia pitturata di giallo. Un segnale che la vita culturale in qualche modo può riprendere. Forse, sempre che l’Alto Adige non torni presto in zona rossa. Per ora prendiamoci il buono e solo il fatto che il ministro Speranza abbia dato un via libera in questo senso, anticipando le decisioni del Governo sulle indicazioni del prossimo Dpcm, (passateci il gioco di parole) dà comunque speranza.

A scandire la ripartenza saranno ingressi contingentati, orari più lunghi e misure di sicurezza implementate. E tutti fanno il tifo per i musei, perché presto tocchi anche agli altri settori poter aprire al pubblico, senza dimenticare format innovativi e sperimentazioni nate durante il lockdown, che impongono una riflessione seria e a tutto tondo per ripensare al ruolo del patrimonio culturale italiano, chiamato, d’ora in poi, a non basarsi unicamente sul conteggio dei biglietti staccati.

Partenza condizionata da nuovi stop

Proviamo nel frattempo a gustarci il primo passo verso la normalità. «Aspettiamo tutti il decreto del Presidente Kompatscher, che dovrebbe arrivare nelle prossime ore. La situazione non è certo facile per nessuno, men che meno per la cultura - commenta Vito Zingerle, direttore dell’Ufficio Musei e Ricerca Museale della Provincia di Bolzano -. In inverno molti musei sono normalmente chiusi, altri invece, soprattutto quelli provinciali e i più grandi, restano aperti tutto l’anno. Guardando indietro, alla riapertura della primavera scorsa, direi che in tanti sono pronti a riaprire, anche perché ormai tutti conoscono e hanno già sperimentato le regole sanitarie imposte dalla pandemia, come distanziamenti, ingressi contingentati e via dicendo. Se si potrà riaprire, non tutti saranno in grado di farlo nel giro in un giorno o due, quindi penso che le riaperture saranno scaglionate. Bisogna stipulare ad esempio i contratti col personale non assunto a tempo indeterminato e questo non lo si può fare per aprire due giorni e poi richiudere. Resteremo zona gialla? Diventeremo arancione? Oppure rossa? Anche questo ha una grossa importanza. Non tutti sono disposti a rimettere in moto la macchina e chiudere dopo poco. Ogni museo ha una sua storia particolare e le sue peculiarità, qui come nel resto d’Italia: ci sono i musei provinciali, quelli comunali, quelli gestiti da associazioni, quelli privati, quelli che per aprire hanno bisogno di due persone, uno alla cassa e uno all’interno, e quelli che invece necessitano di strutture complesse anche per quanto riguarda il personale. La primavera scorsa, ad esempio, hanno riaperto in tanti, ma non tutti ce l’hanno fatta. La situazione è molto complessa e nessuno al momento può sapere in quanti saranno in grado di aprire. Appena sarà decisa una data, sarà subito comunicata a tutti i musei, e poi ognuno si muoverà in base alle possibilità e alle esigenze. Ad esempio, il Museo di Scienze Naturali di Bolzano veniva visitato da circa 20.000 studenti l’anno, un migliaio di classi. Adesso non è più possibile. Tutti vogliamo tornare al più presto ad una vita normale, dobbiamo solo sperare. Io sono fiducioso: presto torneremo a visitare i musei, a muoverci, a vivere».

La possibilità va colta

Con il contagio da Covid che non si arresta, sia nel panorama culturale, così come in tutti gli altri ambiti, si continua comunque a navigare a vista. Non la situazione migliore, per qualsiasi tipo di capitano, ma purtroppo la condizione impostaci da questo maledetto virus. Anche in Alto Adige, dove, con un eventuale peggioramento della tristemente famosa curva, invece di aperture bisognerà tornare a parlare di chiusure. Per non essere troppo pessimisti guardiamo all’oggi e a quel poco che andrà a concedere il prossimo Dpcm, indicato a dare un seguito a quello in scadenza nella giornata di dopodomani. «La linea generale della Giunta è quella di non porre paletti a quanto viene consentito a livello centrale. Tutto ciò che ci è permesso è un’opportunità e quindi qualcosa da sfruttare sicuramente - chiarisce l’assessore provinciale alla Cultura Giuliano Vettorato -. Ben venga dunque l’occasione concessa ai musei. Personalmente auspico che anche i teatri possano presto avere la loro, con metà della capienza, con la misurazione della febbre all’ingresso e tutto quello che c’è da fare, ma sarebbe fondamentale tornare sul palco. In questi mesi ci siamo impegnati come istituzione a sostenere tutte le realtà e gli artisti del territorio e speriamo che tutti riescano presto ad esibirsi davanti ad un pubblico, piccolo o grande che esso sia. Ciò detto, come già annunciato da Arno Kompatscher, non possiamo fare finta che il virus sia passato e nemmeno che i numeri attuali non siano preoccupanti. Tutti assieme, come Giunta, abbiamo deciso ad un nuovo inasprimento delle restrizioni nel caso in cui la curva peggiori. Speriamo tutti che ciò non avvenga, ma dobbiamo essere pronti a contrastare nuove difficoltà».

Un patrimonio da sfruttare maggiormente

Antonio Lampis, tornato da poco a Bolzano per riprendere il suo posto come capo ripartizione della Cultura italiana in Provincia, dopo essere stato per tre anni Direttore generale dei musei italiani, analizza la situazione degli ultimi mesi. «I musei sono tutti diversi uno dall’altro, per struttura, esigenze, e quindi dovrebbero essere anche diversificati gli interventi. I musei sono stati tutti chiusi senza differenziare il museo del paesello, con 10 visitatori per volta, da quelli enormi con milioni di visitatori. Ma così ha deciso il Comitato Tecnico Scientifico e adesso non resta che aspettare l’ordinanza provinciale». Lampis avanza comunque delle critiche sull’organizzazione della “macchina museale”. «Io non ho ripresentato la mia candidatura a Direttore generale dei musei per la disorganizzazione che regna sovrana - ci dice -. I numeri invece ci sarebbero. I musei, fino a prima della chiusure per la pandemia, hanno portato 27 miliardi di euro all’anno in ricavi per il sistema Paese, dato del 2018, cresciuto certamente nel 2019, con un indotto di oltre 240 milioni di euro annui incassati dai milioni di turisti attratti. Nel 2018 su 123 milioni di turisti in arrivo, ben 24 milioni, cioè uno su cinque, dichiarava che la prima ragione per cui veniva in Italia era per visitare i musei. Questi erano comunque solo la metà dei visitatori dei musei. Gli altri erano residenti e concittadini. In tre anni si sono susseguiti tre Decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, quattro Segretari generali, tre Capi di Gabinetto, tre diversi mandati da Ministro e la competenza del Turismo è uscita e poi ritornata. Il Ministero ha una incredibile conflittualità interna, la più bassa indennità di amministrazione, immobili spesso non a norma per la sicurezza e antincendio, concessioni in proroga da decenni, patrimonio archeologico male inventariato, pagamenti ritardati per debiti pregressi ereditati da altri istituti, organici dimezzati e privi di varie professionalità soprattutto amministrativo-contabili».

I dati inoltre ci dicono che nel 2018 sono cresciuti i visitatori di musei, mostre e aree archeologiche, sono aumentati i fruitori di musica, classica, ma soprattutto ‘leggera’, mentre gli spettatori di teatro sono restati stabili e sono calati dell’1,6% i fruitori di cinema (anche se il dato altoatesino è in controtendenza, ndr). La tendenza di crescita della fruizione museale è confermata anche dai dati relativi ai visitatori dei musei statali, che nel 2018 sono aumentati di oltre il 10%, superando i 55 milioni di visitatori. Ma i problemi sono comunque enormi.

«La Direzione generale musei ad agosto 2020 aveva il 50% dell’organico scoperto, con oltre il 70% di vacanza organica nelle funzioni di ambito contabile e amministrativo. I musei statali in media avevano organici scoperti oltre il 30%. E con personale anziano, la stragrande maggioranza sopra i 55 anni, e in molte regioni con la mancanza di direttori generali», conclude Antonio Lampis.

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