l’intervento 

Ripetenti e bocciati un lessico vecchio 

Si parla molto dei ripetenti da quando, a causa della chiusura delle scuole, nessuno deve essere bocciato. È giusto, i ragazzi hanno già tanto da digerire. Ma c’è una mancanza alla base di questo...



Si parla molto dei ripetenti da quando, a causa della chiusura delle scuole, nessuno deve essere bocciato. È giusto, i ragazzi hanno già tanto da digerire. Ma c’è una mancanza alla base di questo discorso: ripetere l’anno continua a essere considerato una punizione, un fallimento, un errore capace di condizionare una vita intera. Ma se la bocciatura è questo, allora è un fallimento della scuola per prima, poi dei genitori e, in una percentuale minore, degli studenti. Le bocciature andrebbero sempre ricondotte alla storia personale degli studenti, alle loro attività e alle relazioni con insegnanti, familiari e compagni. So bene cosa significa: per l’università io sono un abbonato alle etichette “ripetente”, anche se in realtà allo studio ho sempre affiancato il lavoro e, con i soldi che ho guadagnato, mi sono permesso qualche viaggio ed esperienze alternative. Se avessi rispettato tutte le scadenze universitarie, ora starei già facendo il lavoro per il quale sto studiando, invece ne sto facendo altri, più o meno affini, rallentando il compimento del mio percorso. Come me ci sono tanti ragazzi attivi, nel sociale, nel giornalismo, nella cultura, oppure fermi da anni a causa di esperienze più forti: storie di rottura con se stessi o con i propri affetti, storie di famiglie in crisi o di giovani che diventano madri e padri, storie di allontanamenti e storie di dipendenza. Ma il sistema scolastico e universitario spesso non tiene conto di tutto questo: nel momento in cui non si laureano in tempo o vengono bocciati a scuola, sono “ripetenti”. Il punto è che queste ragazze e questi ragazzi non stanno rallentando i propri tempi, anzi, li stanno vivendo a volte più in profondità di altri. Riconoscerlo significa cambiare l’ottica e l’approccio alla realtà del cammino formativo e di crescita dello studente, che a quel punto non è più solo uno studente: è una persona. E allora viene da chiedermi: non è che dietro questa mole anonima di ripetenti scolastici si nascondono in realtà preziosi anni di vita durante i quali i ragazzi hanno vissuto altro? Una storia d’amore, la perdita di un affetto, un’esperienza di volontariato o un lavoro non sono “crediti formativi” per la vita? Le regole sono fondamentali e io non sto giustificando: chi non si applica ripete – o conclude dopo. Ma non potremmo coltivare una forma di rispetto per questa opzione didattica di “bocciare” che, etimologicamente, ha il significato di “rifiutare” e “respingere”? Non potremmo dare più alternative ai ragazzi rispetto ai banchi di scuola? Il tempo non passa mai per niente e non è uguale per tutti e questo lo devono capire adulti e ragazzi. Oggi un percorso scolastico e universitario improntato sulla puntualità e sulla conoscenza di date e informazioni non serve a molto. Per quello ci sono internet e i libri. Ciò che conta oggi è saper confrontare le conoscenze tra loro, sapersi relazionare con le persone e saper leggere con occhio critico quello che succede nel mondo. Servono intelligenza, voglia di scavare e capacità di intuizione. Ripetere un anno sono convinto possa servire, ma solo quando permette allo studente di concentrarsi sul proprio percorso di vita e di rendersi conto di quanto non ha fatto e può fare. Qui sta il senso: crescere e mettersi in gioco. Come studente, come insegnante e come persona, ho molta stima e rispetto per chi ha fatto questo tipo di esperienza. Nella scuola di oggi, servono spalle larghe e coraggio. (insegnante)













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Valeria Frangipane

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