«Scrivete senza paura È la nostra creatività a renderci speciali» 

Lo scrittore. Luca D’Andrea analizza il momento dell’editoria e lancia un appello ai giovani «In tanti hanno idee e contenuti, ma sono frenati dal pregiudizio che c’è sulla carriera artistica:  il vero successo è scoprirsi, alla fine di un lavoro, una persona diversa da quella che eri prima»


Daniela Mimmi


Bolzano. Secondo Giacomo Leopardi “Un buon libro è un compagno che ci fa passare dei momenti felici”. Ma un libro, secondo Ray Bradbury, è anche “una pistola carica”. Il libro, per tanti, è stato un compagno fedele durante il lockdown, uno dei pochi amici vicini durante le giornate di solitudine e smarrimento. Un amico che non tradisce mai, che è sempre disponibile e che ti fa viaggiare nel tempo e nello spazio, anche quando non è possibile viaggiare. Dopo l’ovvio arresto di vendite dei libri durante la prima fase del lockdown per la chiusura delle librerie, da questa estate le vendite sono in regolare aumento. Forse anche perché, questa volta, vogliamo farci trovare preparati a una nuova, temuta chiusura.

Abbiamo parlato di libri e di editoria con uno degli scrittori altoatesini più famosi al mondo, Luca D’Andrea, autore di quattro romanzi (La sostanza del male, Lissy, Il respiro del sangue e L’animale più pericoloso) tradotti in 45 lingue, tra cui il cinese.

Che cosa sta leggendo in questo momento?

Sto leggendo “Chicago” di David Mamet. Una storia ambientata fra gli anni Venti e Trenta del secolo scorso, all’epoca di Al capone. Un romanzo entusiasmante con dialoghi eccezionali e personaggi tratteggiati con maestria da morire d’invidia, ma trattandosi di Mamet è quasi scontato.

Come sta l’editoria italiana secondo lei, in questo momento?

Come tutti i settori ha subìto delle perdite a causa della pandemia, ma il sistema regge, le persone vogliono leggere e il libro è ancora un buon modo per scoprire ciò che siamo e ciò che facciamo. Al di là della pandemia il mondo editoriale sta passando un periodo di grandi trasformazioni. La letteratura nazionale non esiste più da un pezzo e questo ha un impatto che le case editrici devono affrontare. Non esiste più l’autore “nazional-popolare” che è sinonimo di successo sicuro, l’ultimo forse è stato Camilleri. La categoria “nazional-popolare” si è frantumata e quindi bisogna affinare lo scouting e imparare a lasciarsi sorprendere dagli autori e, soprattutto dai lettori. Inoltre molti colossi internazionali, come HerperCollins, hanno messo piede nel Belpaese portando un bagaglio di esperienze completamente diverso dal nostro ed è un fenomeno che sicuramente non si fermerà a loro. In più bisogna mettere di conto che le case editrici sanno che là fuori è pieno di produzioni cinema e tv che aspettano storie da trasformare in film o serie e questo cambia molto l’ottica di pubblicazione.

E quella altoatesina? In Alto Adige ci sono 4 case editrici per 400.000 abitanti. È un buon segno, secondo lei?

Un ottimo segno. Quattro case editrici sembrano poche, ma non lo sono. La proposta è ancora molto ancorata al territorio, anche per via degli aiuti provinciali che, se da una parte sono una manna per chi cerca di sopravvivere in un mercato enorme come quello editoriale, dall’altra restringono le possibilità di spaziare e aprirsi al mondo. Sarei molto curioso di leggere più narrativa nostrana. Gli altoatesini leggono molto e scrivono molto, ma ancora con troppa timidezza, soprattutto i più giovani che stanno crescendo in un mondo terribile in cui perfetti sconosciuti possono giudicarti e perseguitarti senza pagarne lo scotto. Il mio consiglio è: siate duri, impermeabili al pensiero di chi non può e non vuole capire, non abbiate alcuna remora a raccontare ciò che volete raccontare. La vostra creatività è ciò che vi rende speciali.

Perché gli italiani non leggono, o leggono molto meno degli europei?

Partiamo dall’ovvio. Ci sono aree del paese in cui non solo si fa fatica a trovare una libreria o una biblioteca, ma è anche difficile acquistare un ebook a causa di una connessione da Terzo Mondo. Poi c’è il fattore tempo: gli italiani hanno sempre meno tempo da dedicare a sé stessi, statisticamente siamo uno dei popoli in Europa che lavora di più (e guadagna meno…) ed è ovvio che dopo otto/nove ore di lavoro non si abbia la concentrazione necessaria non solo per leggere ma per fare qualsiasi altra cosa se non starsene in fila ad aspettar Caronte senza chiedersi se questo modello di vita sia sostenibile. Ultimo, a mio parere peggiore di tutti, è il fatto che in Italia tutto ciò che riguarda la parte intellettuale della vita, imparare nuove lingue, approfondire temi, informarsi e, appunto, leggere, viene visto come segno di snobismo. Ma, d’altronde, la nostra società sta subendo in maniera pesante, anzi pesantissima, l’impatto dei social-network, un formidabile mezzo di appiattimento che ci sta facendo regredire di secoli su un piano sociale, culturale ed economico.

Libro cartaceo vs ebook.

Sono complementari. Francamente se l’ebook avesse dovuto soppiantare il cartaceo l’avrebbe già fatto da anni. Invece si è costruito un suo spazio e vive tranquillamente la sua vita accanto ai libri tradizionali di carta e inchiostro. Alla fine è solo uno strumento, ognuno sceglie quello che più gli è comodo. Io uso la lettura digitale soprattutto per cercare testi fuori catalogo, per il resto: carta.

I giovani scrivono?

Scrivono e scrivono tanto. E questa è una notizia positiva perché significa che hanno qualcosa da dire. Da parte c’è il pregiudizio per cui una carriera artistica sia una roba da perditempo, dall’altra è anche vero che scrivere non è un pranzo di gala e non tutti sono disposti ad accettare i sacrifici necessari. La scrittura richiede autodisciplina, sudore, ore di sonno perse, una buona dose di sfrontatezza insieme a una tonnellata di umiltà che bisogna conquistarsi con le unghie e con i denti. Se sogni la carriera di scrittore per soldi e gloria, temo di doverti dare un dispiacere. Se cerchi il successo, non arriverà mai. Se scrivi perché hai qualcosa da dire, perché scrivere ti aiuta a mettere a fuoco il mondo allora, forse, dopo aver macinato un bel po’ di chilometri, può succedere di “inciampare” nel successo. Ma il vero successo è scoprire che chi ha iniziato a scrivere un libro è una persona diversa da chi l’ha terminato. Così, se hai trovato la tua voce, se hai scoperto che scrivere ti fa vedere nuovi dettagli al vecchio spettacolo del mondo che ti circonda, se la tua vita è diventata una nuova definizione della parola “ossessione”, beh, benvenuto nel club: non vedo l’ora di leggerti.

Anche secondo lei un libro è una “pistola carica”?

Sempre. Se c’è una cosa che un libro riesce a fare è proprio quella di esplodere nella testa del lettore. E cambiargli la vita.

Lei quale genere ama?

Sono un lettore onnivoro, mi piace spaziare. Ovviamente, la mia bussola interiore di lettore segue quella dello scrittore e punto sempre verso luoghi più o meno oscuri. Seguo l’istinto e l’istinto è infallibile.

Ci consiglia qualche titolo?

Partiamo con Fabiano Massimi “L’angelo di Monaco” un noir ambientato nel settembre del 1931, in Germania, che piacerà sia a chi ama i gialli che a chi predilige i romanzi storici. Poi, per chi ama gli animali e vuole divertirsi con qualcosa di diverso dal solito, “I cani di strada non ballano” di Arturo Perez Reverte. Un autore che adoro. Per chi invece volesse divertirsi approfondendo quelli che sono i ferri del mio mestiere è stato pubblicato da poco un saggio di Chuck Palahniuk, l’autore di Fight Club, intitolato “Tieni presente che”, un testo esilarante e serissimo insieme che si beve come un romanzo in cui l’autore di Portland fa di tutto per sconsigliarti di intraprendere la carriera di scrittore. Poi ci sono i romanzi di Lenz Koppelstetter che iniziano a fare capolino anche in traduzione italiana con colpevole ritardo. Noir ambientati dalle nostre parti con una grande dose di umorismo. Lenz è davvero un fenomeno nel costruire trame e personaggi. Un romanzo che parla di amore, amicizia e libertà conquistata è “I bambini di Svevia” e anche qui giochiamo in casa perché l’autrice, Romina Casagrande è di Merano. Infine, ed è davvero una preghiera, mettete le mani su tutto ciò che trovate di Amy Hempel, una scrittrice americana che si cimenta in quella difficilissima arte che è la scrittura di racconti brevi. Può sembrare difficile a prima vista, ma non lo è, anzi. Davvero, da grande vorrei avere un decimo del suo talento.

Adesso a cosa sta lavorando? Al mio “Apocalypse Now”. E mica scherzo. Sono alle prese con un lavoro che mi sta perseguitando da più di un anno e mezzo, anche se dovrei dire che è da una vita che ci ricorriamo, e che non ho idea se, alla fine, deciderò di pubblicare o meno. Di sicuro è molto diverso dai libri precedenti. È lungo, è cattivo, è necessario. Tre aggettivi che rischiano di farti fare una brutta fine. Ma sono un cagnaccio che non molla l’osso e sono più che deciso a tenere fede al motto dei balenieri di Moby Dick “Balena morta o lancia spezzata”. Di certo stiamo parlando di qualcosa che uscirà, se uscirà, fra parecchio tempo. Anni, probabilmente. Se non mi farà colare a picco prima, certo.















Altre notizie

Assemblea

Amministrazione di sostegno: in Alto Adige 3.600 «fragili»

La direttrice Rigamonti: «Servono ulteriori finanziamenti provinciali per sostenere le associazioni e chi si rende disponibile ad aiutare gli altri». Il Tribunale di Bolzano conta più di 500 nuovi procedimenti l’anno 


Valeria Frangipane

Attualità