Se il calore del Natale passa per una stufa
Storia materiale. Al Museo Civico di Bolzano un grande esemplare unico nel suo genere «E’ vecchia di tre secoli e le sue formelle sono decorate con motivi legati alla Natività»
Bolzano. Le proiezioni a ritroso dell’archeo-meteorologia non hanno dubbi: gli inverni medievali erano freddi. Più che freddi, gelidi. Da rabbrividire anche al coperto. I nostri, a confronto, sarebbero parse primavere a quei poveri cristi. Pure i ricchi battevano i denti: i castelli avevano grandi camini ma anche grandi spifferi. Poi, se capitava il brutto tempo, producevano più fumo che arrosti. Qui, invece, poteva accadere che ce la si passasse meglio. Per dire: già nel 1242 , è documentata la presenza di un vasaio, tal Ulricus Vogelus che costruiva formelle per stufe. E nello stesso anno anche l’esistenza di una “casa con stufa”. Insomma, pare che la deviazione da camino aperto a stufa si sia prodotta proprio per la naturale capacità di quest’ultima di immagazzinare meglio il calore, di distribuirlo con più coerenza all’interno della stanza, di non fare fumo e, questione molto funzionale all’epoca, di poter essere alimentate anche dall’esterno. È la stufa a connotare la civiltà alpina, più specificamente tirolese, finanche bolzanina. E di connotare la prima trincea di difesa a fronte dei rigidi inverni di montagna. Producendo infine anche l’abitudine di approntare stanze fatte apposta per loro, inducendo abitudini domestiche e , magari, anche la costruzione delle stube. Una presenza urbana fin dall’alto medioevo che differenzia questi territori da quelli vicini: nell’Italia del Nord, nella pianura, le case avevano i camini aperti, qui meno. Che poi le stufe siano diventate, nel tempo, oggetti d’arte, ci spiega anche come una tradizione funzionale possa riflettere l’evoluzione del gusto e, in ultima analisi, anche l’aumento della ricchezza diffusa. Ecco, doveva essere magari una stufa, a far aprire al caldo il Museo Civico di Bolzano, in occasione della lunga notte dei musei. «Ci stavamo preparando a spalancare le nostre porte, come tutti gli anni - dice la neo assessora alla Cultura Chiara Rabini - e invece dobbiamo accontentarci di ammirare solo sul nostro sito, uno dei grandi tesori riscoperti nelle ultime operazioni di catalogazione». Una stufa. Ma bellissima. E vecchia più di tre secoli. Inoltre, potrebbe entrare nel Guinnes dei primati storico-artistici del genere, essendo l’unica, a memoria documentata e documentabile, a riportare sulle sue formelle decori legati al Natale: sette, con scene della nascita di Cristo. Sono in stile definito “faentino”. Tutte bianche avorio e blu. In tedesco “Blaumalerei”. Una sorta di azulejos rococò continentali. I ricercatori assicurano che furono dipinti proprio a Bolzano, da un artigiano operante agli inizi del XVIII secolo nei laboratori di città. Questo unico esemplare di stufa natalizia è notabile anche per l’architettura e le dimensioni: alta quasi tre metri, è cubica e a due piani. Mistero, invece sulla sua costruzione effettiva, su chi la commissionò per acquistarla e attraverso quali vie è poi finita nelle stanze del Museo. Come tanti “oggetti del mese” che a cadenza l’istituzione propone, testimonianze della ricchezza del patrimonio museale ma anche del fitto lavoro di riscoperta e catalogazione dei magazzini e dei depositi. Spesso contenenti opere, libri, dipinti, sculture, documenti accumulati alla rinfusa negli anni del dopoguerra o provenienti da edifici e aree bombardate e “appoggiati” nelle cantine di via Cassa di Risparmio in attesa di un riordino che, nei decenni, non è mai avvenuto. Solo negli ultimi anni, nel mentre il Museo sta faticosamente provando a ripristinare tutte le sue sale, il Comune e la direzione hanno iniziato a mettere ordine. E che siano lì in attesa di ritrovare la luce dei veri tesori, ce lo dice anche questa stufa. Oggetto funzionale e dunque quotidiano ma capace di tenere in se tutta la cultura di un’ epoca. E anche la poco studiata centralità di Bolzano in molte attività di alto artigianato, le quali sono indirettamente un segnale del fatto che la città, pur marginalizzata dalla posizione rispetto ai grandi motori della cultura europea, ne fosse fortemente influenzata e direttamente coinvolta. Le stufe presenti fin dal medioevo, in Tirolo, anche nella loro versione rinascimentale o, come questa, rococò, sono strutturate in modo complesso: la bolzanina ha una camera di combustione, serpentine interne per i bollenti giri di fumo e dotate di materiale refrattario che permette la conservazione del calore anche per molte ore dopo il caricamento. Anche le formelle in ceramica invetrata, per garantirne la brillantezza, poste come rivestimento esterno permettono a loro volta la conservazione e l’irraggiamento del calore nell’ambiente circostante. Come detto in Alto Adige che, con il Trentino, è la zona di diffusione di questo tipo di riscaldamento domestico, l’artigianato che le produce è documentato già dal medioevo attraverso ritrovamenti archeologici avvenuti nel corso di scavi in città o nei castelli. Chi produceva vasellame, stoviglie e altri oggetti per la cucina, creava anche le “olle” per le stufe. Di cui esistono documenti diffusi già nel ’500 soprattutto nei centri urbani: Bolzano, Merano, Bressanone. Dove il commercio di questi prodotti era garantito. Ed è raro, ed anche qui risiede l’interesse per l’oggetto bolzanino, che le formelle siano conservate tutte nella loro interezza. Spesso, infatti, venivano smontate e riutilizzate altrove oppure impiegate per abbellimenti estetici in altri luoghi.