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Corinna Conci


Bolzano. Fino a lunedì 14 ottobre negli spazi del Piccolo Museion – Cubo Garutti ( Via Sassari 17/b, Bolzano) sono esposte le opere della serie “Under penalty of law” firmate dall’artista Berty Skuber (Fié allo Sciliar, 1941). La presentazione si inserisce nella serie di mostre al Cubo Garutti con opere dalla collezione di Museion dedicate al testo e alla parola, a cura di Frida Carazzato. L’artista Berty Skuber interverrà inoltre a Museion per il ciclo di conferenze “artiparlando” giovedì 17 ottobre alle ore 20. La sua opera “10 Kalender” (1973 – 1981) è esposta nella mostra “Doing deculturalization” della curatrice ospite Ilse Lafer. In occasione dell’ esposizione al Piccolo Museion, Berty Skuber affronta il tema del non-visibile e dell’ intimità, prendendo come soggetto del suo lavoro le etichette degli abiti.

Il titolo “Under penality of law” deriva da una memoria d’infanzia della gallerista e collezionista Emily Harvey. Come sostiene la Skuber «Emily ha fatto a New York la prima mostra di questa serie dei miei lavori. Per il titolo del catalogo ha voluto usare la frase che appare sull’etichetta applicata ad ogni materasso o cuscino che si vende negli Stati Uniti: vuole dire che i commercianti non devono togliere l’etichetta che descrive il cuscino, a pena di subire un procedimento penale». L’abbiamo intervistata.

La serie “Under penalty of law” è costituita da circa 60 opere acquisite ed esposte in diverse parti del mondo. Come nasce questo lavoro?

Finora ho fatto 59 di questi “patchhworks” e due sono “in progress”. Fra la grande diversità del mio fare – disegni, collage, oggetti trovati, scatole, video, fotografia, ecc. — questo lavoro con le etichette ha curiosamente suscitato l’interesse più vasto ....sono stati esposti in molte parti del mondo e molti si trovano in collezioni sia pubbliche che private. Questo lavoro nasce da un ricordo legato alla sartoria di mio padre – Hans Kompatscher, sarto con la destra, pittore con la sinistra, come lui si amava definire. Di notte, da bambina, quando non c’era nessuno, andavo in sartoria per guardare i vestiti appesi e un giorno ho scoperto un’etichetta fantastica nella fodera di un elegantissimo capotto nero, così ho iniziato a spiare regolarmente in tutti i vestiti, cercandone altre. Anni dopo, una sera mio figlio Johnny è tornato a casa con un gruppo di amici skate boarders e ho riscoperto il mondo delle fantastiche etichette sfoggiate sui loro vestiti ed è nata così l’idea di trasformare le etichette in opera d’arte. Ho iniziato a raccoglierle, togliendole da tutti i nostri vestiti, chiedendole poi agli amici e poi chiedendo loro di chiederle ai loro amici. È seguita una lunga corrispondenza con persone anche sconosciute in tutto il mondo.

Custode di informazioni non subito accessibili, l’etichetta è simbolo di un concetto di intimità. Perché fare oggetto di mostra qualcosa che solitamente è nascosto?

Appunto perché è così nascosto. Sono sempre stata affascinata dai mondi segreti delle cose.

Una composizione visiva costituita da marchi che certificano un valore di qualcosa che lì non c’ è. L’attenzione estetica si sposta dall'abito al logo del brand e a ciò che vuole comunicare...

Il marchio e il valore sottostante, non mi interessa ...il logo, cioè l’etichetta, è spesso fantasioso, non avendo però niente a che fare con l’abito sposta l’attenzione di chi lo vede a qualcosa d’altro, senza volerlo, penso. Infatti le etichette più inventive si trovano nelle marche sconosciute, i logo nei vestiti di lusso sono spesso i più noiosi.

In occasione del ciclo di conferenze “artiparlando” sarà in dialogo con lo storico dell’arte Andreas Hapkemeyer. Oltre a esporre il suo approccio al lavoro, presenterà in anteprima anche la sua ultima opera video. Di cosa si tratta?

In artiparlando il dialogo sarà soprattutto su una parte essenziale del mio lavoro, la scrittura e il segno. Tutto nasce da lì. In questo senso il video “Caul” – come anche tutti gli altri miei video – si allaccia: riprendo la scrittura, il segno che deriva dalla parola, anche nelle animazioni video. Per esempio, l’immagine reale di una stanza viene coperta di segni, numeri, parole e diventa qualcosa d’altro: una realtà viene cancellata, una realtà fittizia prende il suo posto: uno spostamento del visibile.













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