«Tango e tragedia, il nostro spettacolo parte proprio da lì» 

Intervista a Ugo Dighero. L’attore da domani sul palco del Teatro Stabile con Neri Marcorè «Siamo 5 voci narranti per 40 storie, una ventina terribilmente vere e l’altra metà letterarie» Lo spettacolo guarda all’oggi: «Un bene ricordare a tutti come l’Argentina precipitò nel fascismo»


Daniela Mimmi


Bolzano. Per un solo giorno le Madri di Plaza de Mayo non hanno danzato la loro terribile danza. Era il 25 giugno 1978 quando, all’Estadio Monumental di Buenos Aires, si giocava Argentina-Olanda, finale dei Mondiali di calcio. L’Argentina vinse 3 a 1. Per una notte, solo per una notte, dai cieli dell’Argentina sono caduti solo coriandoli e festoni, e non corpi di donne e uomini, lanciati dai portelloni degli aerei verso le acque dell’Oceano. Da quella notte si dipana la vicenda di “Tango del calcio di rigore”, un affresco su calcio e potere in salsa sudamericana, scritto e diretto da Giorgio Gallione per il Teatro Nazionale di Genova e portato in scena al Teatro Comunale di Bolzano dal Teatro Stabile dal 23 al 26 gennaio (alle ore 20,30 e domenica alle 16). Sul palco, oltre agli attori del teatro genovese, c’è l’inedito duo composto da Neri Marcorè e Ugo Dighero, che racconteranno di come lo sport è stato usato dal potere per occultare la realtà e opprimere il popolo, tante altre storie in uno spettacolo in forma di “tanghedia” che ripercorre un’epoca storica prima attraverso gli occhi di un bambino, poi attraverso quelli di cittadino dei nostri giorni. Ugo Dighero, attore genovese, è noto al pubblico soprattutto per il ruolo di Guido Pittaluga nella serie Un medico in famiglia, ma anche per programmi come Avanzi, Hollywood Party, Tutti gli uomini del deficiente, La terra dei cuochi, Il tredicesimo Apostolo, Grand Hotel e tante altre fiction, film e soprattutto tanto teatro. Lo abbiamo intervistato.

Che cos’è di preciso quella che voi avete definito “tanghedia”? Il calcio e il tango hanno molti elementi in comune: la passione, l’amore, la tragedia, il divertimento. Il tango è la musica ideale per il calcio. Quella parola è l’unione di tango, tragedia e commedia. Ovvero il nostro spettacolo.

Che ruoli avete lei e Neri Marcorè?

Lui è il narratore principale, perché tutto parte dalla esperienza di un bambino di 12 anni nel 1978, quando in Argentina si giocava il campionato di mondo di calcio, tutti erano pensavano solo al calcio, e nelle prigioni a 100 metri dallo Stadio, l’esercito continuava a torturare. Poi tutti e cinque raccontiamo delle storie. Una ventina sono storie vere, una ventina, tra cui quelle di Osvaldo Soriamo e una di Stefano Benni, sono frutto della loro fantasia. C’è quella del figlio del cowboy Butch Cassidy, arbitro di un surreale campionato mondiale giocato in Patagonia con le pistole in pugno. C’è l’episodio del rigore più lungo della storia del calcio, di cui è stato protagonista suo malgrado Gato Diaz, anziano portiere dell’Estrella Polar, durato una settimana. Poi ci sono le storie vere come quella di Francisco Valdes, capitano del Cile, costretto dai militari di Pinochet a segnare un gol in una porta vuota e senza alcun avversario in campo o quella dell’arbitro ucciso per un goal annullato. O la storia delle donne che danzano in Plaza de Mayo ogni giovedì con, sul petto, le foto dei loro mariti, padri, figli scomparsi nel nulla. Il calcio era un mezzo di distrazione di massa, serviva al potere per nascondere la corruzione, la violenza e gli orrori a pochi metri dagli stadi. In tutto siamo 5 voci narranti per 40 storie.

Come è nata la “strana coppia” Marcorè-Dighero?

Nel 2002 siamo stati due anni insieme in tournée con “L’apparenza inganna”, commedia tratta dal film omonimo. Questo è un felice ritorno.

Tra tutte le storie che raccontate, qual è quella che l’ha colpita di più?

Quella che immagino colpirà di più anche gli spettatori, quella delle donne di Plaza de Mayo. Mentre tutti si entusiasmavano per il calcio, l’esercito ancora uccideva, torturava, caricava gli studenti sugli aerei le li gettava nel mare. Tutti sapevano, ma c’era il calcio a distrarli e stordirli.

Calcio e potere è la metafora di?

Il calcio è la metafora della vita: c’è il controllo arbitrale, c’è una colletività formata da singoli individui, c’è un leader. E’ uno sport di gruppo, il cui le strategie messe in atto possono cambiare il risultato. Il potere è quello dato dall’eccesso di ricchezza, di soldi. E’ un potere enorme che riesce a distrarre interi paesi dai problemi reali. Spesso è stato usato per questo, in tutto il mondo.

C’è un messaggio?

Oggi si respira una strana atmosfera, pericolosa. Ci sono emergenze inventate dai partiti per manipolare la gente. Come la percezione della sicurezza. Non ci sono mai stati così pochi atti di criminalità, eppure la gente pensa che non ci sia mai stata tanta violenza. Così è nato il fascismo in Argentina ed è bene ricordare queste cose.

Lei ha alle spalle una carriera quanto meno variegata. Quel è stato il programma che si è divertito di più a fare?

Sicuramente Mai dire goal. La Giappala’s Band è stata una fucina di grandi comici e attori. E lavorare con loro era divertentissimo.

Dove si trova più a suo agio, in teatro, al cinema o in televisione?

A teatro l’attore non può mentire, mentre sul set le cose sono più facili. Il teatro mi diverte, il cinema e la televisione non sono così appassionanti.

Eppure per diverse stagioni è stato lo zio Pittaluga nella serie “Un medico in famiglia”.

Tutti pensano che io ci sia stato per sempre perché lo zio Pittaliuga è un personaggio trasgressivo che è nel cuore di tutti. In realtà ho fatto la prima serie, due puntate della seconda e poi la sesta, settima e ottava. Il cast era fantastico, dal primo all’ultimo, ed è stato bello lavorare con loro.

E adesso torna a Bolzano.

Sì, ci sono venuto spesso. Ma anche questa volta purtroppo vengo senza sci. La mia è una vera passione. Da giovane ho fatto agonismo, ero fortissimo in discesa libera…













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