Teatro, César Brie stasera a Merano con “120 chili di jazz”
L’ intervista. Questa sera, nella Sala Civica, l’attore argentino sarà ospite di Teatro Pratiko Stamattina invece ci sarà l’incontro con Nazario Zambaldi e il pubblico per “Naufragio” «Il mio è un teatro indipendente, di ricerca, oggi troppe cose si fanno in fretta e solo per i soldi»
Bolzano. Ciccio Méndez vuole entrare ad una festa per vedere la sua innamorata (che non sa di esserlo). Decide così di fingersi contrabbassista del gruppo jazz che allieterà la serata.
Méndez però non sa suonare il contrabbasso, ma la sua voce sa imitare perfettamente il suono dello strumento. Ciccio Mendez, amante del jazz e della buona cucina, è il personaggio intorno al quale gira “120 chili di jazz”, scritto, diretto e interpretato da César Brie, che sarà in scena oggi 24 ottobre alle ore 20,30 nella Sala Civica di Merano, in via Huber, all’interno della rassegna teatrale CRATere, organizzata dal Teatro Pratiko di Merano. Questa mattina e nello stesso posto, alle ore 11, il regista argentino sarà il protagonista di un incontro con Nazario Zambaldi e il pubblico, intitolato “Naufragio”, con l’accompagnamento musicale di Giorgio Cappelletto (chitarra, voce) e Rodica Marian (violino). César Brie, argentino di nascita e italiano di adozione (è arrivato nel nostro paese quando aveva 18 anni) è stato cofondatore di Comuna Baires e quindi di Collettivo teatrale Tupac Amaru. Ha lavorato con Iben Nagel Rasmussen nel Gruppo Farfa e poi nel leggendario Odin Teatret in Danimarca nelle vesti di autore, regista e attore. César Brie ha partecipato anche ad altre produzioni, come autore o regista: “Il cielo degli altri”, realizzato in Italia con gli attori del Teatro Setaccio; “Zio Vanja” di Anton Cechov, di cui cura la regia insieme a Isadora Angelini; “Todos los ausentes”, realizzato a Santiago del Cile con l’attore Hector Noguera del Teatro Camino. Dal 2010 in Italia crea “Albero senza Ombra” e “120 chili di jazz”, “Karamazov” e altri. Parliamo con lui di Naufragio. «La mia vita è piena di naufragi. Sono scappato dall’Argentina a 19 anni, poi dalla Bolivia dove ho vissuto 20 anni. Lì ho girato due documentari: per il primo ho avuto minacce di morte dall’estrema destra, il secondo dava fastidio a tutti, a Morales e ai suoi oppositori. Negli anni ’70 ero in Argentina, ma un attore della nostra compagnia era stato rapito, così tutti sono scappati e sono venuti in Italia. Dopo un po’ sono arrivato anch’io. Qui l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite mi ha riconosciuto lo status di rifugiato politico, che l’Italia non voleva darmi. Poi ho vissuto 10 anni in Danimarca. Adesso vivo tra Italia e Argentina. I naufragi sono comunque una occasione per costruire una storia, la bellezza come vestigia di noi stessi».
Ci presenta 120 chili di Jazz? Era nato come racconto di una storia molto privata: ero innamorato di una donna e volevo conquistarla facendola ridere. Ci sono riuscito, perchè siamo rimasti insieme 4 anni. Poi ci siamo lasciati, ho avuto una moglie da cui sono separato e due splendide figlie di 16 e 18 anni. Il racconto ha vinto il premio letterario più importante della Bolivia ed è stato pubblicato su un giornale. E’ stato un attore della mia compagnia a chiedermi di adattarlo per il teatro e ancora oggi, a 16 anni di stanza, lui porta in scena questa commedia. Per farlo mio, ho cambiato la regia, l’ho rimontato, perchè adesso non sono più così giovane. Non è teatro di narrazione, ma c’è una vera e propria messinscena e io recito la parte di tutti i personaggi: non solo Méndez, ma anche la ragazza, il padre, l’amico, eccetera. Di solito vado in mezzo al pubblico, ma adesso con le nuove regole per la pandemia vedo come posso muovermi senza toccare o avvicinarmi troppo agli spettatori. Anche la storia è nata da una mia esperienza personale. Da giovane avevo due amici, uno grasso e uno alto e grosso che faceva il giocatore di rugby. Io, piccolo e magro, sembravo il prosciutto in mezzo al panino! E’ una commedia che fa ridere e anche riflettere.
Lei ama il jazz?
Io amo tutta la musica, ma soprattutto il jazz. Infatti nella mia commedia c’è anche la musica jazz e sono citati diversi grandi musicisti.
Che teatro è il suo e quello che lei ama?
È un teatro indipendente, in cui ci prendiamo i tempi di cui abbiamo bisogno. Oggi si fa tutto in fretta e solo per soldi. Io mi prendo il tempo per la ricerca, gli approfondimenti, curo la musica, il movimento, le luce, tutti gli elementi che compongono il teatro. Io mi chiamo fuori: faccio meno, ma in modo più approfondito, e continuo a vivere ai margini del sistema teatrale.