Tsb, il teatro in streaming tra Aristofane e Bernhard 

Lo Stabile in rete. Da oggi nuova “doppietta” di spettacoli proposti dal direttore Zambaldi Si parte con “I Cavalieri” e si prosegue “Minetti. Ritratto di un artista da vecchio”


MASSIMO BERTOLDI


Bolzano. L’attualizzazione di un testo classico e il rispetto filologico di una commedia del secondo Novecento sono i tratti caratterizzanti di questi due audiospettacoli presi dal ricco repertorio del Teatro Stabile e pubblicati da oggi, 19 maggio, nella pagina del sito https://www.teatro-bolzano.it/podcast.

“I Cavalieri” di Aristofane, vincitore di “Wordbox arena-Lo spettacolo lo decidi tu”, è tradotto, adattato e allestito da Roberto Cavosi nel 2018. Dell’originale si mantengono i temi di fondo quali la critica alla classe dirigente, la demistificazione dei meccanismi del potere e del consenso politico.

Vincitrice nel 424 a. C. delle Lenee, le feste dedicate al dio Dioniso Leneo, la commedia declina nei meccanismi del comico la crisi politica serpeggiante ad Atene al tempo della guerra del Peloponneso. Aristofane bersaglia con durezza i responsabili a partire dal demagogo Cleone, sostenitore della guerra.

Paflagone (Fulvio Falzarano), “mascalzone, impostore e farabutto”, è da poco al servizio di Popolo (Andrea Castelli), “vecchio zotico”, e questo preoccupa i due vecchi servi (Loris Fabiani e Michele Nani) perché capiscono che l’adulazione è finalizzata all’arricchimento personale. Rubano al padrone addormentato degli oracoli da lui custoditi e leggono che Paflagone può essere scalzato da un furfante peggiore di lui, ossia da un salsicciaio (Antonello Fassari) che istruiscono a dovere. Appoggiati dal partito dei Cavalieri, orchestrano lo scontro, che si trasforma in un’esplosione comica di dialoghi basati su minacce, insulti, vanterie, aggressioni fisiche. L’infuocato duello verbale si sposta poi al cospetto dell’Assemblea e infine di fronte a Popolo che i due contendenti cercano di conquistare con dichiarazioni adulatorie, doni di capi di vestiario, offerte di preziosi servizi. Sarà l’esibizione delle prelibatezze culinarie, segnata da momenti di forte impatto comico, il passaggio decisivo che permetterà di decretare il vincitore della contesa.

Eliminate le tante allusioni storiche e sostituito il coro dei Cavalieri con due personaggi inediti (Giancarlo Ratti e Mario Sala), il testo presenta altre novità tra cui la presenza di Aristofane (Emanuele dell’Aquila) in una dimensione grottesca e surreale e la Tregua (Sara Ridolfi) con il compito di stemperare le tensioni tra i protagonisti.

Il secondo postcast riguarda “Minetti. Ritratto di un artista da vecchio” di Thomas Bernhard presentato in prima nazionale nel 1984 per la regia di Marco Bernardi che inaugura un ciclo di spettacoli attinti dal teatro dello scrittore austriaco, detto il “Beckett delle Alpi”, e destinati a diventare fiore all’occhiello dello Stabile bolzanino. Scritto nel 1976 quale omaggio all’attore Bernhard Minetti, l’interprete più accreditato dei suoi testi, il dramma è un monologo torrenziale. È l’ultima notte dell’anno e nella hall di un albergo di Ostenda un grande attore ormai anziano trascorre la serata nell’attesa del direttore di un teatro per il quale dovrebbe interpretare per l’ultima volta lo shakespeariano Re Lear, dopo trent’anni di assenza forzata dalle scene. Intervallato qua e là da qualche frammento di dialogo con La ragazza (Gabriella Lai), Il portiere (Massimo Palazzini), La signora (Marina Pitta), Minetti (Gianni Galavotti) si abbandona a riflessioni e discorsi devastanti e intensi sulla morte dell’arte drammatica. La parola, costruita su una sintattica minima, ricerca la musicalità del suono nel gioco delle iperboli e dei paradossi che rivelano i tormenti interiori dell’attore solitario. In questo flusso ininterrotto di discorsi, accompagnati dai rabbiosi graffi di violino di Hubert Stuppner, si animano acute riflessioni critiche sul pubblico teatrale e sul presente storico, prossime al nichilismo. L’abbandono al flusso della coscienza esprime la parabola di una lucida e dolorosa follia in bilico tra sogno e pessimismo cosmico, ossessioni e ricordi. Alla fine, mentre infuria una tempesta di neve, Minetti si siede su una panchina, trae dalla valigia la corona da teatro di Lear e inghiotte le pillole dei suicidio.













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