Nuove imprese artigiane, siamo in controtendenza 

I dati Cgia. Nei primi 6 mesi 2019 in regione saldo positivo tra nuove iscrizioni e cessazioni A livello nazionale, invece, il trend è negativo: lo stock complessivo è diminuito di 6.564 unità



Bolzano. In Italia le imprese artigiane languono e nel primo semestre 2019 il saldo tra iscrizioni e cessazioni di attività è stato negativo in tutto lo Stivale. Con l’unica eccezione del Trentino Alto Adige dove si registra un saldo positivo pari a 138 unità, ovvero 1.142 nuove iscrizioni e 1.004 cessazioni. Prendendo poi la serie storica 2009-2018, la nostra regione è quella con la variazione negativa minore tra tutte le regioni del Belpaese. Ovvero un 4,3 per cento in meno nel saldo iscrizioni/cessazioni, contro una media italiana pari all’11,3%. Nel 2009 le imprese artigiane erano a quota 26.906 livello regionale contro le 25.746 a fine 2018 (in valori assoluti 1.160 aziende). Insomma, tutto sommato - pensando anche gli anni della crisi - una situazione stabile, quella del Trentino Alto Adige. In provincia di Bolzano il sistema di apprendistato è premiante.

Sebbene nel secondo trimestre si sia verificata una leggera ripresa, permane il cattivo stato di salute dell’artigianato in Italia. Nei primi 6 mesi di quest’anno lo stock delle imprese artigiane è diminuito di 6.564 unità. Al 30 giugno scorso, il numero complessivo si è attestato a quota 1.299.549. Ad eccezione del Trentino Alto Adige, in tutte le altre regioni italiane il saldo del primo semestre è stato negativo. I risultati più preoccupanti si sono registrati in Emilia Romagna (-761), in Sicilia (-700) e in Veneto (-629). A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia (artigiani di Mestre). Una moria, quella delle aziende artigiane, che dura ormai da 10 anni. Tra il 2009 e il 2018, infatti, il numero complessivo è sceso di quasi 165.600 unità.

I motivi della crisi

“La crisi, il calo dei consumi, le tasse, la mancanza di credito e l’impennata degli affitti - afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo - sono le cause che hanno costretto molti artigiani a cessare l’attività. E per rilanciare questo settore è necessario, oltre ad abbassare le imposte e ad alleggerire il peso della burocrazia, rivalutare il lavoro manuale. Negli ultimi 40 anni c’è stata una svalutazione culturale che è stata spaventosa. L’artigianato è stato dipinto come un mondo residuale, destinato al declino e per riguadagnare il ruolo che gli compete ha bisogno di robusti investimenti nell’orientamento scolastico e nell’alternanza tra la scuola e il lavoro, rimettendo al centro del progetto formativo gli istituti professionali che in passato sono stati determinanti nel favorire lo sviluppo economico del Paese. Oggi, invece, sono percepiti dall’opinione pubblica come scuole di serie B. Per alcuni, infatti, rappresentano una soluzione per parcheggiare per qualche anno quei ragazzi che non hanno una grande predisposizione allo studio. Per altri costituiscono l’ultima chance per consentire a quegli alunni che provengono da insuccessi scolastici, maturati nei licei o nelle scuole tecniche, di conseguire un diploma di scuola media superiore”. «E nonostante la crisi e i problemi generali che assillano l’artigianato – prosegue il segretario Renato Mason - non sono pochi gli imprenditori di questo settore che segnalano la difficoltà a trovare personale disposto ad avvicinarsi a questo mondo. Soprattutto al Nord, si fatica a reperire nel mercato del lavoro giovani disposti a fare gli autisti di mezzi pesanti, i conduttori di macchine a controllo numerico, i tornitori, i fresatori, i verniciatori e i battilamiera. Senza contare che nel mondo dell’edilizia è sempre più difficile reperire carpentieri, posatori e lattonieri. Più in generale, comunque, l’artigiano di domani sarà colui che vincerà la sfida della tecnologia per rilanciare anche i “ vecchi saperi”. Alla base di tutto, comunque, rimarrà il saper fare che è il vero motore della nostra eccellenza manifatturiera».

I settori più colpiti

Il settore artigiano più colpito dalla crisi è stato l’autotrasporto che negli ultimi 10 anni ha perso 22.847 imprese (-22,2%). Seguono le attività manifatturiere con una riduzione pari a 58.027 unità (- 16,3%) e l’edilizia che ha visto crollare il numero delle imprese di 94.330 unità (-16,2%). Sono in forte aumento, invece, imprese di pulizia, giardinaggio e servizi alle imprese (+43,2%), attività cinematografiche e produzione software (+24,6 per cento) e magazzinaggio e corrieri (+12,3%). Tra le aziende del settore produttivo quelle più in difficoltà sono state quelle che producono macchinari (-36,1%), computer/elettronica (-33,8%) e i produttori di mezzi di trasporto (-31,8%).















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