Il “Barillete Cosmico” amico di Fidel e Chavez 

Il ricordo. Il nomignolo gli fu attribuito dal celebre telecronista uruguaiano Hugo Morales durante la partita tra Argentina e Inghilterra ai Mondiali del 1986 quando segnò con la mano


CARLO MARTINELLI


L’Aquilone Cosmico è tornato al suo pianeta. Quello dei grandi del calcio. E ci è tornato - ieri, 25 novembre, ironia della sorte: nello stesso giorno in cui quindici anni fa ci lasciò un altro genio maledetto del pallone, George Best - portandosi appresso un marchio indelebile, non più scalfibile: il più grande di tutti, il più grande calciatore di tutti i tempi. The best.

E dunque, verrebbe da dire, quali parole dovremmo mai mettere in fila, oggi, nel raccontare di Diego Armando Maradona, nato a Lanús (Buenos Aires, Argentina) sessant’anni fa, da papà Diego e mamma Dalma e ieri vinto per sempre, nella sua casa di Tigre, dal suo cuore matto e generoso che si è fermato, pochi giorni dopo l’intervento al cervello dello scorso 30 ottobre, suo compleanno? Vorresti aggrapparti al filosofo, a Wittgenstein, al suo “su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere” e vorresti affidare alla memoria generosa di chi ha avuto la somma fortuna di vederlo in campo, o quantomeno di ammirarlo in tivù, il ricordo di chi era già idolo e icona in vita, e figuratevi adesso. Se il calcio è stato uno dei grandi racconti epici del Novecento - il calcio moderno, televisivo e turbocapitalista è un’altra cosa, El Pibe de Oro non ne faceva più parte -, di quell’epos Maradona è stato l’eroe più grande. Un tracagnotto alto un metro e sessantacinque capace di disegnare dribbling irridenti ed inarrestabili, di dettare geometrie impossibili, di pianificare tiri da fermo di luciferina precisione, di incarnare l’utopia possibile: il calcio che diventa bellezza, che si fa poesia. Maradona non ha giocato al calcio, Maradona è stato “il” calcio. Maradona è stato l’Argentina ed è stato Napoli. Due popoli che a lui si sono affidati per vincere quello che prima mai avevano vinto e che da anni si chiedono se mai torneranno a vincere qualcosa, senza l’Aquilone Cosmico.

Già. Il Barillete Cosmico, consegnatoci dalla storica telecronaca di Victor Hugo Morales. La voce roca ed inconfondibile di un uruguagio, capace di fissare con un racconto che è emozione pura, il gol più straordinario della storia del calcio. Domenica 22 giugno 1986, Mondiali in Messico, Argentina contro Inghilterra. “Un poco con la cabeza de Maradona y otro poco con la mano de Dios” dirà a fine partita l’irridente Diego. Che in quattro minuti si consegna all’eternità del calcio: dapprima beffando l’arbitro e il portiere Shilton con la mano che spinge in rete il pallone. Uno a zero. Poi 52 metri pallone al piede, sei giocatori inglesi superati con facilità non raccontabile, 13 tocchi di palla. Due a zero. Accompagnato dal racconto di Morales. Autore dell’unica telecronaca diventata mondiale, destinata all’eternità: “arranca por la derecha el genio del fútbol mundial, Siempre Maradona! Genio! Genio! Genio! ta-ta-ta-ta-ta-ta… Goooooool… Gooooool… Quiero llorar! Dios Santo, viva el fútbol! Diegooooooool! Maradona, en una corrida memorable, en la jugada de todos los tiempos…Barrilete Cósmico… ¿de qué planeta viniste?”. Non serve tradurre.

Ma non saremmo onesti cantori dell’epica maradoniana - pur senza essere adepti di quella “Iglesia maradoniana” che contava 200 “fedeli” quando nacque e che ha poi toccato gli 80 mila iscritti al sito ufficiale - se non cercassimo di distinguere la mano de Dios da quella di Maradona. La prima, quella del genio calcistico, non si può discutere. La seconda, la sua mano, quella dell’uomo fenomeno sociale, prodotto di massa, poster ribelle, cocainomane impaurito, drogato in campo, donnaiolo impenitente, simbolo del sud del mondo proletario in lotta contro il nord affarista e capitalista, guevarista e filo Chavez, tristemente sovrappeso e persino incapace di profferire parola, è consegnata ad altro giudizio. Sul quale, va da sé, dividersi ed accapigliarsi sarà tutt’uno. Film, documentari, canzoni, quadri, libri: Maradona è già nella cultura popolare e di massa del Novecento e di questi primi, tremebondi vent’anni del nuovo secolo. Dal 25 novembre del 2020 lo sarà ancora di più, in una misura che forse nemmeno riusciamo ad immaginare.

E questa data, lo si voglia o no, entra nel novero di quelle che non si scorderanno mai più. Perché il gioco più popolare del mondo, senza fine bello, ha perso il ragazzo che seppe portare a livelli impensabili quella stessa bellezza. Lo ha fatto toccando vette sublimi, e così facendo ci ha aiutato a sopportare le non poche rovinose cadute, le patetiche figuracce cui si è sottoposto, le tante debolezze che lo hanno piegato più e più volte. Ma per quel che ha fatto sul campo, per i sogni e le gioie regalate a tante e tanti, spesso padroni di niente se non di quei sogni e di quella gioie, Diego Armando Maradona va salutato con un lungo, amorevole e doloroso applauso. Dios Santo, viva el fútbol! Diegooooooool!

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Altre notizie

Assemblea

Amministrazione di sostegno: in Alto Adige 3.600 «fragili»

La direttrice Rigamonti: «Servono ulteriori finanziamenti provinciali per sostenere le associazioni e chi si rende disponibile ad aiutare gli altri». Il Tribunale di Bolzano conta più di 500 nuovi procedimenti l’anno 


Valeria Frangipane

Attualità