L’Alto Adige non sfigura 

Calcio Coppa Italia Tim. La formazione di mister Stefano Vecchi regge il confronto con l’Udinese e cede con onore  Friulani in vantaggio con Lasagna, poi il pareggio di Morosini ma nel finale Mandragora chiude i conti con una doppietta



Con Felice Gimondi se ne è andato un altro pezzo di storia. Già perchè Gimondi è figlio di quell’Italia degli anni 60’ e 70’ che aveva cicatrizzato le profonde ferite della guerra e seppur rigorosamente in bianconero si apprestava a vivere in technicolor, alimentata da quel boom economico che aveva asfaltato le strade, portato la “Seicento” nelle case delle famiglie e strizzato l’occhio al benessere. Felice Gimondi come Mazzola e Rivera, l’Equipe 84, Mike Bongiorno, Marcello Mastroianni. Era l’Italia che batteva la Germania 4 a 3 all’Azteca di Città del Messico, che incoronava il Cagliari campione d’Italia, che vinceva la Coppa dei Campioni con il Milan e con l’Inter. Un’Italia in carriera, in ascesa, curiosa, convinta che il meglio doveva ancora accadere. E Felice Gimondi era lo spot ideale di quel momento storico. Lui, ciclista intelligente che pedalava con la testa e non solo con le gambe e che è riuscito a vincere tantissimo in un’epoca segnata dalla presenza di Eddy Merckx, il più grande di sempre, uno che non rinunciava alla vittoria nemmeno a briscola alla sera in albergo col direttore sportivo e il massaggiatore. Già, se il Cannibale fosse nato 10 anni prima o dopo Gimondi avrebbe vinto molto di più ma resta comunque la grandezza di un campione delle pedivella e di vita che ha saputo andare oltre il gran premio della montagna e vincere anche una volta appesa la bici al chiodo.

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Valeria Frangipane

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